Italia, se la transizione energetica va a rilento

Chiara Vagnini, Mariolina Longo, Matteo Mura, Sara Zanni Settembre 29, 2022 4 min di lettura

LAB SUST

La transizione energetica in Italia è in ritardo a procede a ritmi molto diseguali da Regione a Regione. 

La crisi in corso dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia mostra come la dipendenza del nostro Paese da fonti energetiche esterne, soprattutto per il gas, lo espone a gravi problemi di approvvigionamento e di oscillazioni dei prezzi. Anche per questo, sostiene il 4° rapporto del Sustainability Measurement and Management Laboratory (SuMM Lab) della Bologna Business School, è importante accelerare sulla transizione energetica, indicata dall’Intergovernmental Panel on Climate Change come una delle cinque aree strategiche per limitare il riscaldamento globale. 

La fotografia del panorama italiano prodotta dal SuMM Lab non è però incoraggiante. Il rapporto si concentra su sette elementi della transizione. Quattro riguardano le fonti di energia (pannelli solari, turbine eoliche, impianti di cogenerazione, fonti idriche), due le forme di efficienza energetica attraverso l’isolamento degli edifici (cappotti isolanti e tetti verdi) e infine la certificazione dei progressi fatti nei sistemi di gestione dell’energia. Solo il 6% delle imprese del campione analizzato, però, hanno applicato queste misure. I progressi maggiori sono stati realizzati nell’adozione di fonti rinnovabili, che ha consentito, secondo dati del Gestore dei Servizi Energetici, di raggiungere gli obiettivi fissati dalle direttive europee con un anno di anticipo, nel 2019. 

La disparità geografica è grande: al primo posto è il Friuli Venezia-Giulia, dove il 17% delle imprese ha adottato soluzioni di transizione energetica, ma la percentuale crolla in altre regioni del Nord, come Lombardia e Piemonte, dove si arriva appena al 3 e al 2% rispettivamente. Alcuni interventi ottengono risultati migliori, come l’installazione di pannelli solari, favorita anche dall’introduzione di diversi tipi di incentivi: su questo fronte le percentuali salgono fra il 29 e il 22% delle aziende interpellate nelle prime cinque regioni, cioè la Campania, il Friuli, la Basilicata, il Molise e le Marche. Anche in prospettiva, l’intenzione di realizzare interventi di transizione energetica nei prossimi 5 anni è alta in Friuli (44%), seguito da Valle d’Aosta, Molise, Marche e Toscana, ma bassissima altrove, in particolare nel triangolo industriale del Nord e in Veneto. 

Il crescente interesse negli ultimi anni, seppur partendo da livelli bassi, per le pratiche di transizione energetica riflette anche la risposta alle nuove regolamentazioni e agli incentivi introdotti, come il cosiddetto Superbonus. 

I settori più impegnati nella transizione energetica sono alcuni di quelli legati alla produzione industriale pesante, e quindi a un alto consumo di energia, come la produzione di metalli, di attrezzature per le ferrovie e di carta e cartone, e, nei servizi, il settore immobiliare e la distribuzione. 

Lo studio fa riferimento anche alle iniziative prese in questo campo, e in particolare sui tetti verdi, dalla stessa Università di Bologna: uno è stato realizzato sopra la scuola di Ingegneria e Architettura, l’altro sopra la scuola di Agricoltura e Veterinaria, rispettivamente per 120 e 932 metri quadri. I tetti verdi contribuiscono al risparmio energetico attraverso l’isolamento degli edifici, ma anche limitando l’effetto ”isola di calore” nelle aree urbane e i danni creati dalle ondate di pioggia eccezionali, in quanto trattengono l’acqua piovana, come spugne, rilasciandola poi gradualmente. 

Il recupero dei ritardi nella transizione energetica non potrà avvenire per effetto dell’azione di un solo gruppo di attori. I suggerimenti del rapporto si orientano infatti su diversi gruppi di organizzazioni. Le aziende devono spingere tra l’altro sulla formazione e la realizzazione di sistemi avanzati per l’energy management, sviluppando scenari per il futuro fabbisogno di energia e le fonti da utilizzare. Gli ecosistemi industriali possono tra l’altro creare dei network per lo sfruttamento di energia dai rifiuti e cogenerazione e condividere esperienze e competenze. Le autorità devono rendere strutturali e non sporadici gli incentivi per questo tipo di pratiche, dando alle aziende certezze per gli investimenti a lungo termine e devono promuovere la produzione diffusa di energia, con particolare attenzione all’autoconsumo. 

Articolo tratto da
Observatory on Sustainable Development – Report 4
Autore
Matteo Mura, Mariolina Longo, Sara Zanni, Chiara Vagnini
Anno
2022
Lingua
Inglese