Accademia e impresa insieme, nel segno della transdisciplinarietà

Matteo Mura Giugno 8, 2021 5 min di lettura

Accademia e impresa

Intervista a Matteo Mura – Direttore del Centro BBS per la sostenibilità e i cambiamenti climatici

Nel presentare e raccontare il nuovo Centro BBS per la sostenibilità e i cambiamenti climatici, ormai entrato nel vivo delle sue attività dopo la presentazione in Villa Guastavillani del 5 e la cerimonia di inaugurazione del 17 maggio, è importante ribadirne, ancora una volta, la forte caratteristica interdisciplinare.

Ne abbiamo già parlato proprio in occasione della cerimonia di apertura, ne hanno parlato i ricercatori e le ricercatrici coinvolti che, non a caso, sono tutti esponenti di diverse discipline presso l’Università di Bologna.

Torniamo a parlarne con il professor Matteo Mura, Direttore del Centro BBS per la sostenibilità e i cambiamenti climatici, per fare un passo in più e offrire una definizione ancora più precisa delle attività del Centro. Lo facciamo partendo da un’altra parola, certo più insolita e più complessa, più lontana dal mondo della pratica, ma che è importante affiancare al più noto concetto di interdisciplinarità perché rappresenta la caratteristica distintiva del Centro e ne racconta, meglio di ogni altra, gli obiettivi, sia in termini di education sia in termini di progetti e attività con le imprese. Questa parola è “transdisciplinarietà”.

 

Cos’è la transdisciplinarietà e perché è importante applicarla nell’ambito della sostenibilità?

Transdisciplinarietà è la capacità di andare oltre la collaborazione tra discipline diverse, definita, appunto, interdisciplinarietà, cercando di annullare i confini che le separano e le distinguono. Come Centro ci siamo posti questo obiettivo, che certamente rappresenta il punto di arrivo di un percorso non semplice che stiamo intraprendendo.

Una prima caratteristica della transdisciplinarietà è che non si tratta solo di un’unione di competenze, com’è l’interdisciplinarietà, ma di una produzione di nuova conoscenza che deriva da diversi domini di conoscenza differenti. Una seconda caratteristica dell’approccio transdisciplinare riguarda la necessità di portare a fattor comune due mondi talvolta distanti: l’accademia, che lavora per silos di conoscenza verticali e ad alta specializzazione, e il mondo della pratica che, per il fatto che spesso deve reagire a cambiamenti di contesto molto rapidi, lavora su problemi reali che richiedono soluzioni rapide ed efficaci. Così, se da un lato abbiamo l’accademia, che lavora sulla creazione di modelli generalizzabili e quindi applicabili a contesti diversi, dall’altro abbiamo la pratica aziendale, che fornisce soluzioni e modelli legati al contingente che non necessariamente potranno funzionare in altri contesti.

Semplificando, dunque, l’approccio transdisciplinare si propone di utilizzare competenze verticali e specialistiche, quindi con la profondità che caratterizza l’accademia, e applicarle a problemi che hanno una valenza operativa. Questo tipo di approccio risulta particolarmente appropriato per la risoluzione di alcuni problemi, come ad esempio quelli collegati alla sostenibilità e ai cambiamenti climatici, chiamati loosely defined, cioè problemi difficili da definire e privi di confini ben delimitati. Su questa categoria di problemi, per loro stessa natura difficili da classificare in termini di confini disciplinari, l’approccio transdisciplinare può davvero fare la differenza. Tale approccio non va preso come un dato di fatto, ma come un obiettivo da perseguire. La transdisciplinarietà è un sfida e presenta una difficoltà di fondo che non è semplice da superare perché richiede la messa in discussione non tanto delle proprie competenze, quanto del proprio modo di approcciare i problemi.

 

Quali sono i vantaggi di un approccio transdisciplinare?

Abbiamo scelto di procedere in questo modo perché lavorare con un approccio puramente accademico pone il rischio di non “mettere a terra” i risultati della ricerca. Dunque, anche se la ricerca non può certamente fermarsi, anzi è la base della nostra attività, lavorare in una business school, quindi a stretto contatto con le imprese, richiede anche soluzioni pratiche e di rapida applicazione.

Il problema opposto, che caratterizza invece il mondo della pratica, consiste nel focalizzarsi spesso su una soluzione troppo specifica, che perde di vista lo scenario più ampio. Questa mancanza di approccio sistemico si è manifestata, anche di recente, nella definizione di alcune normative introdotte nel nostro paese (es. plastic tax o incentivi fiscali a caldaie a pellet) che, con l’obiettivo di risolvere un problema contingente, in realtà ne aprivano un altro ben più significativo e di lungo termine.

Mettere insieme approccio accademico e approccio operativo attraverso la transdisciplinarietà diventa dunque la chiave per evitare questo tipo di errori da un lato e, dall’altro, evitare di rimanere troppo sul piano teorico.

 

A livello operativo, come intendete implementare questo approccio all’interno del Centro BBS per la sostenibilità e i cambiamenti climatici? 

Avere alle spalle un Ateneo come quello di Bologna rappresenta una grande opportunità per il Centro. Gli 11 ricercatori che vi lavorano provengono da 9 dipartimenti differenti dell’Università di Bologna e da 11 diversi settori scientifico-disciplinari e tutti sviluppano la propria attività avendo come filo conduttore temi collegati alla sostenibilità e ai cambiamenti climatici.

Dal momento che la faculty del Centro proviene da discipline così diverse, il primo passo è stato quello di trovare un linguaggio comune. Le stesse parole, infatti, possono assumere significati diversi a seconda del contesto disciplinare nel quale le si applica. Si rende dunque necessario stabilire un territorio comune all’interno del quale muoversi e comunicare in armonia e per farlo ciascuno deve imparare a comprendere meglio cosa fanno i colleghi di altri settori. Per questo abbiamo lanciato una serie di 11 “Lunch Seminars”, di un’ora ciascuno, durante i quali ognuno dei ricercatori presenta ai colleghi la propria attività di ricerca, ma non come se la dovesse raccontare alla propria comunità accademica di riferimento, bensì a una comunità che non abbia competenze approfondite della sua disciplina. Un linguaggio diverso, per certi versi più semplice, privo di elementi dati per scontati, sta aiutando tutti noi a capire meglio cosa fanno gli altri e questo contribuisce in maniera importante a creare quel terreno comune fondamentale per il raggiungimento del nostro obiettivo.

Il secondo passaggio sul quale stiamo lavorando consiste nella creazione di piccoli gruppi di lavoro su progetti che hanno un orizzonte temporale di breve termine – qualche settimana o pochi mesi – e di tipo molto operativo, come ad esempio la strutturazione di una lecture di un paio d’ore o la stesura di un articolo divulgativo. Tali gruppi di lavoro hanno una composizione mista, con due, tre o quattro ricercatori, che sono così portati a ragionare su possibili risultati che provengano da un processo di fatto transdisciplinare. All’interno di questi progetti ci sono anche attività di divulgazione in cui la necessità di creare un comune linguaggio si rivela in tutta la sua importanza, come ad esempio la creazione di una serie di podcast tematici, sviluppati proprio attraverso la collaborazione tra esponenti di diverse discipline.

Un terzo ulteriore momento per l’applicazione concreta dell’approccio fin qui descritto è la strutturazione di progetti con le imprese. Puntiamo a creare una ricerca applicata in stretta collaborazione con aziende partner, portando a sistema le competenze del Centro per far fronte non solo ai problemi di una singola impresa, ma anche ad esigenze di interi ecosistemi industriali.

Queste tre fasi – capire meglio cosa fa ciascuno, creare pool interdisciplinari e, infine, arrivare a sviluppare veri e propri progetti transdisciplinari – rappresentano le modalità operative attraverso le quali stiamo cercando di mettere in pratica, insieme alle imprese, questo approccio transdisciplinare alla sostenibilità e ai cambiamenti climatici. 

Altri due elementi di interesse riguardano proprio la terza fase, quella dei progetti.

Il primo riguarda il ruolo fondamentale che avranno i programmi di education. In particolare puntiamo a creare delle iniziative che abbiano come target le piccole e medie imprese. Infatti, se le grandi imprese si stanno già attrezzando per far fronte alle sfide e alle opportunità generate dalla sostenibilità, le PMI si trovano spesso in difficoltà, non avendo all’interno le competenze e talvolta neppure le risorse necessarie. Noi puntiamo a fornire loro anche strumenti tecnici e operativi, perché uno dei grandi vantaggi del Centro è che al suo interno sono presenti anche delle competenze “tecniche”. Nel nostro team abbiamo infatti, tra gli altri, anche ingegneri elettrici, ingegneri energetici e persino giuristi, che possono suggerire strumenti operativi nella soluzione di un problema.

Il secondo elemento ci riporta a quelli che sono i tre pilastri che caratterizzano il Centro e riguarda una serie di impegni precisi che si è assunta BBS nella creazione di questa nuova realtà: Learning, cioè la competenza centrale della Scuola che riguarda proprio la formazione manageriale; Dissemination, che ha a che fare con l’impegno a condividere i risultati dei progetti realizzati con la Community di Bologna Business School, ma anche con la società più ampia, e Impact, per cui i progetti di ricerca applicata puntano ad avere un impatto concreto e significativo sulle imprese e i territori.

Concludo ricordando che tutto questo non avviene in maniera slegata e indipendente da quanto viene già fatto in Bologna Business School per la sostenibilità, ma ne è, piuttosto, il naturale proseguimento. Ad oggi ogni master di BBS ha almeno un corso su temi di sustainability e business ethics e vengono inoltre proposti speech in aula e case studies che derivano da progetti che abbiamo in corso con diverse imprese, nei quali la sostenibilità è l’elemento chiave e diventa sfida proposta agli studenti attraverso un percorso che avvicina gli studenti alla realtà concreta dell’industria.

Infine, gli 11 ricercatori del Centro affiancano la core faculty BBS già attiva da tempo su questi temi all’interno della scuola. In particolare, la professoressa Mariolina Longo, con la quale collaboriamo da oltre quindici anni sul fronte ricerca – e questo dimostra, una volta di più, che tutto ciò che stiamo realizzando non sarebbe possibile senza un percorso di ricerca alle spalle – e il professor Alessandro Pastore, che rappresenta invece l’anima più vicina al mondo delle imprese, dal momento che è un imprenditore, attivo in Inghilterra nel distretto tecnologico di Cambridge, ed è coinvolto già dal 2011 sul Global MBA in Green Energy and Sustainable Businesses.