La rincorsa dell’Italia sull’innovazione di prodotto per l’economia circolare

Chiara Vagnini, Mariolina Longo, Matteo Mura, Sara Zanni Maggio 11, 2022 6 min di lettura

LAB SUST

Solo il 15% delle aziende italiane ha adottato le pratiche di innovazione di prodotto orientate alla sostenibilità. Negli ultimi anni si è registrato però un netto miglioramento. 

È quanto emerge da un’analisi del Centre for Sustainibility and Climate Change di Bologna Business School. L’Osservatorio rileva un’evoluzione positiva di queste pratiche tra il 2018 e il 2020, pur partendo da una base molto bassa.  

Tra i possibili approcci alla sostenibilità in ambito aziendale, l’economia circolare propone nuovi paradigmi di produzione in cui il prodotto va pensato e progettato considerando il suo intero ciclo di vita e il suo impatto a livello aziendale e sociale. Le pratiche più adottate nel contesto industriale italiano e mappate dallo studio sono cinque: l’eco-design, il Life Cycle Assessment, la dematerializzazione applicata ai processi di innovazione di prodotto, le tecniche di produzione rivolte alla riduzione dell’impatto ambientale e l’efficientamento energetico degli edifici. Le pratiche più diffuse in Italia riguardano lo sviluppo di prodotti per l’efficienza energetica, in particolare nel settore delle costruzioni, mentre l’applicazione di pratiche più complesse legate al Life Cycle Thinking (eco-design e Life Cycle Assessment, o LCA) sono adottate da meno del 10% delle imprese analizzate, una percentuale rimasta inalterata negli ultimi tre anni. La dematerializzazione resta un affare per pochi pionieri, anche se, insieme allo sviluppo di prodotti per l’efficienza energetica, ha segnato il maggior incremento nel triennio in esame, insieme alle tecniche di produzione per ridurre l’impatto ambientale. 

Ma chi sono e dove sono le imprese italiane più orientate all’adozione di pratiche per l’innovazione di prodotti sostenibili? Le aziende che hanno sede in regioni più piccole, come Molise e Valle d’Aosta, appaiono più impegnate su questi temi, in confronto con quelle di regioni più grandi. E il Centro-Sud (Marche, Abruzzo e Campania) ha sviluppato più studi sul Life Cycle Assessment rispetto al Nord. Le differenze più grandi emergono soprattutto fra i settori industriali. Quelli considerati grandi inquinatori, come carta e cartone, gomma, manutenzione di prodotti in metallo, cuoio e pellami, macchinari per la generazione e la distribuzione di energia, oppure più vicini al consumatore finale, come bevande e agroindustria, sono anche quelli maggiormente impegnati nelle pratiche di Life Cycle Assessment. In parte questo è dovuto al fatto che sono esposti da più tempo a normative più stringenti, in parte alla necessità di legittimarsi nei confronti dei consumatori finali. 

Il LCA può essere utilizzato sia come strumento manageriale, sul quale basare la valutazione della performance dell’eco-design, sia come strumento di comunicazione e di marketing. L’adozione di queste pratiche a livello aziendale trova riscontro nell’aumento delle certificazioni di prodotto attraverso la Environmental Product Declaration (EPD). L’ottenimento di tale certificazione richiede importanti investimenti da parte dell’azienda, ma offre anche un vantaggio competitivo, dato che consente l’accesso, per esempio, al sistema degli acquisti “verdi” della pubblica amministrazione (Green Public Procurement), uno sbocco di mercato importante dato il peso degli acquisti della PA (pari al 17% del prodotto interno lordo in Italia). Insieme a questo, il nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 50/2016 e successive modifiche e integrazioni) con l’introduzione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) e i sostegni all’efficientamento energetico degli edifici stanno offrendo un forte impulso all’adozione di  queste pratiche. La riprova si ha nel fatto che le certificazioni EPD sono più che raddoppiate in Europa, da meno di 5mila a oltre 10mila, fra il 2018 e l’inizio del 2021. Nel nostro Paese, EPD Italy ha registrato 156 prodotti. Le imprese impegnate nel LCA puntano a valorizzare il proprio sforzo, registrando più di un prodotto. In quest’area, la prevalenza è nel Nord Italia, in particolare Lombardia, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia. Le prime dieci imprese sono di dimensioni medie, con 559 dipendenti e un fatturato di 280mila euro. L’impatto dell’introduzione delle regole sui CAM è evidente: queste Top 10 appartengono a settori legati alle costruzioni, come ceramiche, cemento, prodotti di metallo e materiali da costruzione in genere, con un focus particolare sui materiali che migliorano l’efficienza energetica degli edifici, come materiali isolanti e moduli. 

La conclusione dello studio è che i prossimi passi per estendere queste pratiche sostenibili a un novero più ampio di organizzazione andranno compiuti a diversi livelli. Le imprese dovranno adottare la formazione su strumenti di management, come LCA, per migliorare la sostenibilità dei nuovi prodotti, sviluppare strategie di design integrate e multidisciplinari e allargare la sfera del design dei prodotti agli impatti generati. A livello di ecosistema industriale, vanno creati network e condivise storie e di successo. Le politiche pubbliche dovranno incentivare questi sforzi per esempio attraverso l’introduzione di crediti d’imposta e promuovere le opportunità di mercato, seguendo la strada già tracciata con il Green Public Procurement. 

Ma non ci si deve fermare qui, secondo il rapporto dell’Osservatiorio: a seguito dei successi ottenuti sul fronte ambientale, andranno sviluppati strumenti che tengano conto dell’impatto sociale dei prodotti (come il Social Life Cycle Assessment)  per assicurare una sostenibilità più completa. 

Articolo tratto da
Observatory on Sustainable Development – Report 3
Editore
BBS CENTRE FOR SUSTAINABILITY AND CLIMATE CHANGE
Autore
Matteo Mura, Mariolina Longo, Sara Zanni, Chiara Vagnini
Anno
2022
Lingua
Inglese