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Per una cultura della ri-motivazione e della ripartenza
La crisi di questo 2020 ha proiettato imprenditori e manager (e non solo) fuori dalla loro zona di comfort. Anche le più azzardate ipotesi di cambiamento di scenario non avevano messo in conto il peso dell’immobilità e la minaccia dell’erosione di processi e meccanismi relazionali faticosamente costruiti nel tempo.
Dopo la presa di coscienza è arrivato il tempo della riorganizzazione e della ripartenza. Pur nell’ampia diversità delle situazioni – c’è che si sente dimenticato e chi, invece, ha preso atto di non essere solo – c’è un tema forte, legato alla rilevanza che le persone rivestono per ogni organizzazione: la ri-motivazione.
L’inclinazione a guardare agli aspetti negativi è comprensibile conseguenza di questo periodo. In aggiunta, il terreno è fertile per l’attecchimento di una paura di fondo, e anche i dubbi, sempre positivi per chi si interroga sulla conseguenza delle proprie scelte, rischiano di portare ad una pericolosa paralisi. Ora più che mai è il tempo dell’assunzione delle responsabilità.
Le organizzazioni con le quali mi confronto attraverso i loro manager spesso mi dicono che le persone sono demotivate e vedono un futuro fragile. I giovani, affermano, perdono gran parte del loro potenziale: sono stati assunti per contribuire ad un cambio di passo, per immaginare e supportare il cambiamento. Il cambiamento c’è stato, ma si cammina all’indietro.
In questi casi, per rimotivare e mobilitare un gruppo di persone verso la gestione di sfide impegnative, è utile ispirarsi ai tratti della leadership adattiva. Quando non è possibile accedere al repertorio di risposte messe a punto per fronteggiare situazioni simili, occorrono leader in grado di ancorare questo cambiamento epocale ai valori e alle abilità delle persone coinvolte. Se la lunghezza dei sogni del capitale umano si è fortemente ridotta, è necessario stimolare la creazione di un ambiente che si alimenti della ricchezza dei punti di vista, anche sulla crisi stessa.
Fare un elenco delle opportunità collegate al ridimensionamento dei contatti può essere un buon punto di partenza. Quanti di noi hanno rivisto le loro priorità, apprezzato le prime ‘ore d’aria’ dopo settimane di segregazione, assaporato il piacere dei momenti trascorsi in famiglia, gioito del confronto attraverso gli occhi? Un imprenditore mi ha confidato che la crisi gli è servita per saggiare la tenuta delle relazioni con alcuni fornitori; un manager, partecipante ad un programma executive di Bologna Business School, ha condiviso la sua soddisfazione nel verificare che i clienti si informavano periodicamente sulla ripresa delle attività.
Non è ottimismo ‘da pigrizia’. É voglia di ripartire dai fondamentali per dimostrare che nessuno è più intelligente di tutti i membri di un team messi assieme (qui ho preso in prestito una famosa frase di Ken Blanchard). Ora davvero si ha l’occasione di dimostrare che la formazione motivazionale, oltre che quella tecnica, aveva un fondamento; che si è un team, non un semplice gruppo, poiché ciascuno valuta l’impatto delle proprie scelte e azioni sui colleghi e sugli altri portatori di interessi.
Il leader adattivo riconosce che si è comunque fallibili, anche per cause indipendenti dalle strategie dell’impresa. Promuove in prima persona una nuova cultura dell’errore e della sperimentazione, nella consapevolezza che le soluzioni possono venire da tutti e tutti nella ripartenza devono avere un ruolo. Forse questa crisi ha messo in luce l’importanza della valorizzazione delle attitudini o, almeno, mi piace immaginare che sia così. Certamente le persone hanno avuto dimostrazione della loro capacità – o incapacità – di resistenza e di gestione delle sconfitte. Ora sono richiesti leader in grado di ascoltare e intuire.
La prof.ssa Anna Maria Giannini, Ordinario di Psicologia alla Sapienza di Roma, in un nostro recente confronto ha sottolineato che questo periodo è caratterizzato dalla cosiddetta ‘crescita post-traumatica’ che pone in evidenza la necessità di sviluppare nuove forme di resilienza e di controllo. Sensibilizzare gli individui e le organizzazioni sulla sfida (‘devo combattere’) è importante per evitare che si neghi l’evidenza o si scelga di lasciar perdere.
Il distanziamento interpersonale, in certe culture come quella latina, ha avuto un impatto particolarmente forte: sono molte le imprese che hanno creato una ‘help line’ mettendo a disposizione dei collaboratori una squadra di psicologi. Si osserva ancora la difficoltà collegata ai cosiddetti ‘ingorghi energetici’, con la nascita di una rabbia profonda che non si sa dove dirigere.
Capire l’angoscia, accettare la sfida, domandarsi ‘cosa posso fare, adesso?’ è quello di cui abbiamo bisogno. La ri-motivazione ha a che fare con gli obiettivi che possiamo mettere in campo, tutti insieme. Mai come adesso, il feedback – ricevuto o elargito – è così importante. Prendere atto di non essere isolati e soli e, soprattutto, condividere le proprie paure alimenta la ri-motivazione e toglie il freno alla sfida.
Autore: Andrea Lipparini