Zero emissioni entro il 2050. Dalla Cop26, un obiettivo possibile?

Novembre 12, 2021

“Are the European manufacturing and energy sectors on track for achieving net-zero emissions in 2050? An empirical analysis” questo il titolo dell’articolo recentemente pubblicato su Energy Policy da Matteo Mura, Direttore del Centro per la Sostenibilità e i Cambiamenti Climatici di Bologna Business School, Mariolina Longo e Leticia Canal Vieira, uno studio che oggi può aiutarci a capire quanto le aziende siano realmente pronte a raggiungere il primo degli obiettivi della Cop26: azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C. 

Abbiamo chiesto a Leticia Canal Vieira, ricercatrice presso il Dipartimento di Management (DiSA) per il progetto “Sustainability Transition: Measuring Sustainable Performance of Industrial Ecosystems” di approfondire insieme a noi alcuni dei punti salienti dell’articolo, che è possibile leggere in forma completa qui

Aziende europee e vincoli tecnologici. Cosa ci manca, da questo punto di vista, per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni di carbonio?

Le aziende che abbiamo valutato appartengono a settori che richiedono un elevato consumo di energia, come cementifici, acciaierie o cartiere. Ad oggi è difficile produrre da fonti energetiche rinnovabili gli elevati quantitativi necessari ad alimentare questo tipo di processi produttivi. Esistono sperimentazioni, nell’ambito della produzione di acciaio e di cemento in particolare, per favorire l’utilizzo dell’idrogeno verde come fonte di energia pulita alternativa ai combustibili fossili, ma siamo, appunto, ancora in fase sperimentale. C’è poi un utilizzo, ad esempio nell’industria petrolifera o in quella chimica, anche di materie prime di origine fossile, che andrebbero a loro volta sostituite con materie prime da fonti rinnovabili: questo sarebbe già un primo passo per ridurre le emissioni, ma servono ancora investimenti in ricerca e sviluppo per poterlo rendere concreto. 

Cosa si intende, invece, per “vincoli istituzionali” e quali sono i fattori alla base di questo ritardo?

Anche per parlare di vincoli istituzionali occorre partire dal dato per cui una gran parte delle emissioni aziendali è rappresentata dai combustibili fossili e dal fatto che questi hanno plasmato le abitudini delle persone e le attività economiche che ci circondano. Uscire da questo contesto e creare nuove abitudini non è un passaggio semplice, da diversi punti di vista: ecco perché quando parliamo di vincoli istituzionali ci riferiamo alle regole, che possono essere sia formali che informali, che organizzano la nostra società, la politica e l’economia. Per fare un esempio pratico possiamo prendere il caso di un’azienda che desidera cambiare il tipo di materie prime che utilizza, passando da quelle di origine fossile a quelle biodegradabili. La prima cosa di cui avrà bisogno è un esperto che la aiuti a fare questo passaggio: una figura che farà molta fatica a trovare sul mercato perché fino a poco tempo fa non esistevano percorsi formativi universitari focalizzati su questi temi. Questa difficoltà è ovviamente fuori dal controllo dell’azienda e per questo diventa un vincolo istituzionale. Un altro esempio può essere quello di un’azienda che sceglie di avere solo macchine elettriche a disposizione dei dipendenti, ma che si scontra con la realtà per cui non si può ancora contare su una rete adeguata per caricare le macchine elettriche e garantire l’efficienza nei viaggi più lunghi. Questo limite in termini di infrastrutture non è imputabile all’azienda ma impatta sulla sua capacità di lavorare attivamente alla riduzione delle emissioni di carbonio. 

La libertà di inquinare fa davvero bene al portafogli o è un falso mito? Da questo punto di vista è mai stato valutato il rapporto costi-benefici di quel 12-23% di aziende titolari di impianti superinquinanti?

Il rapporto costi-benefici non è stato valutato, nello specifico, in questo rapporto. Quello che possiamo dire è che ancora non c’è un vero costo per le aziende quando emettono gas serra. Sia le regolamentazioni sia la rendicontazione delle emissioni sono in fase di sviluppo e il fatto che non ci siano ancora strumenti di valutazione stabiliti fa sì che sia ancora economicamente conveniente per le aziende comprare crediti di carbonio, quando necessario, piuttosto che investire per cambiare il loro processo produttivo. Rispetto al periodo preso in esame nell’articolo quello che abbiamo visto è che solo negli ultimi anni si è iniziato a far sì che il carbon price, cioè il costo della compensazione delle emissioni, fosse sufficientemente alto da rendere più interessanti agli occhi delle imprese gli investimenti necessari per innovare i processi piuttosto che comprare crediti di carbonio. 

Quali sono le prossime mosse per un aggiornamento del database EU ETS? Oltre alla maggiore precisione delle rilevazioni raccolte, possono esserci migliorie ulteriori quali, ad esempio, una maggiore rapidità nella raccolta di dati o la possibilità di garantire l’accesso anche ai consumatori, in modo che possano orientare i propri acquisti?

Sarebbe molto utile per tutti se il database EU ETS fosse più strutturato e più trasparente. Purtroppo oggi il cittadino interessato a conoscere quali sono le emissioni di uno specifico impianto industriale fa molta fatica a reperire queste informazioni dall’EU ETS. Oltre a orientare gli acquisti dei consumatori, un database più efficiente aiuterebbe anche chi vive vicino a questi impianti a farsi un’idea della qualità dell’aria. Inoltre, un database ben strutturato permetterebbe di identificare facilmente quali sono gli impianti più inquinanti e aiuterebbe i cittadini ad acquisire una maggiore consapevolezza nei confronti di questo tipo di tematiche. Da un punto di vista più tecnico, sarebbe utile se il database fornisse informazioni sul perché le aziende smettono di riferire i dati sulle proprie emissioni. Un fatto che può accadere per diverse ragioni, una delle quali è che l’azienda è riuscita a ridurre le emissioni al punto che, non avendo più un quantitativo di emissioni rilevante, viene meno anche la necessità di comunicarle al’EU ETS. Si tratterebbe, in questo caso, di un miglioramento che sarebbe interessante tracciare. Ma può anche accadere che le aziende chiudano o che delocalizzino fuori dall’Unione Europea e che per questo smettano semplicemente di comunicare i dati. Capire cosa accade è molto importante perché migliora la tracciabilità delle emissioni e la veridicità dei dati, aiutandoci a comprendere se c’è stato un effettivo miglioramento o se le aziende si stanno trasferendo in località che hanno regolamentazioni più permissive, continuando a inquinare. Un dato, quest’ultimo, importantissimo se si pensa che ridurre le emissioni è una necessità globale e ridurle in una parte del mondo per aumentarle in un’altra non rappresenta chiaramente una soluzione al problema. 

 

Il ruolo della formazione e della ricerca 

Il Centro BBS per la Sostenibilità e i Cambiamenti Climatici si occupa anche di energia e nuove fonti rinnovabili, in linea con gli obiettivi della Cop26. Formare le risorse che supporteranno le imprese in questa delicata transizione è un impegno che la Scuola sostiene attraverso programmi specifici, intravedendo nello scenario in continua evoluzione le basi per nuove opportunità. Per saperne di più sui nostri Master dedicati clicca qui.



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