Francesco Maria Barbini, Nicolò Cocchi, Paola Giuri Giugno 19, 2023 7 min di lettura

3M Coc
Reinventarsi due volte nel giro di sei anni per rimanere un leader mondiale. La prima volta all’uscita da una crisi gravissima del settore, la seconda, dopo il successo della prima, per tenersi sempre un passo avanti rispetto ai concorrenti. 

La Storia di SCM nasce nel 1935, quando Nicola Gemmani e Lanfranco Aureli – esperti di fonderie e lavorazioni meccaniche – iniziano una collaborazione che nel 1952 vede nascere la prima macchina per la lavorazione del legno, progettata dall’ingegner Giuseppe Gemmani. In breve tempo, con il marchio “L’Invincibile”, SCM si presenta con una gamma completa di macchine classiche che le permette di conquistare tutti i mercati, raggiungendo una leadership globale. E’ stata fra le prime nel suo settore ad adottare un sistema di produzione basato su componenti standard e utilizzati per diversi modelli, gettando le fondamenta per il concetto di produzione modulare. Negli anni 70 ha iniziato un processo di internazionalizzazione e dal decennio successivo ha realizzato un’aggressiva campagna di espansione attraverso acquisizioni, comprando 18 imprese del settore e ampliando così dimensioni e gamma di prodotti. Oggi SCM è un gruppo che alle macchine per la lavorazione del legno ha affiancato quelle per altri materiali e ha un fatturato di circa 750 milioni di euro, di cui il 7% circa dedicato a Ricerca e Sviluppo, e quasi il 70% destinato all’export. Impiega 4mila dipendenti principalmente distribuiti nei suoi tre principali siti produttivi. 

Per mantenere il suo primato, per ben due volte in un ristretto arco di tempo ha dovuto compiere scelte non facili (illustrate in due case studies elaborati al Dipartimento di Management dell’Università di Bologna e a Bologna Business School), rivedendo in modo radicale il modo di fare innovazione e lo sviluppo di nuovi prodotti. 

La crisi economica seguita a quella finanziaria globale del 2008/2009 aveva provocato un collasso del 60% del mercato di riferimento, causa la contrazione delle costruzioni, e successivamente una iniziale stabilizzazione del comparto delle macchine per la lavorazione del legno su livelli più bassi. La SCM ha risposto con un nuovo piano industriale, varato fra il 2009 e il 2010, che ha portato a un significativo cambiamento organizzativo (da 18 entità semi-autonome la struttura è stata ridisegnata su 5 divisioni): il gruppo aveva infatti operato tradizionalmente in modo altamente decentrato e relativamente informale per quanto riguarda l’innovazione. Con il nuovo piano veniva inoltre adottato un approccio al processo di sviluppo dei nuovi prodotti chiamato Product Lifecycle Management. 

Se il piano aveva portato maggior efficienza organizzativa, evitando le duplicazioni e addirittura le cannibalizzazioni del sistema decentrato tradizionale, l’innovazione nello sviluppo dei prodotti restava però insoddisfacente, tanto da indurre i vertici del gruppo a un ripensamento in meno di due anni. I costi di sviluppo, aveva osservato un dirigente nella discussione interna, venivano considerati un costo fisso, senza alcuna analisi specifica per valutare il ritorno economico dei progetti. La SCM rischiava di venire schiacciata, in un mercato polarizzato, fra i concorrenti occidentali concentrati sull’innovazione di prodotto e quelli asiatici capaci di produrre a costi più bassi e quindi di puntare sulla riduzione dei prezzi. Non potendo competere su questo secondo fronte, i vertici della SCM hanno deciso di affrontare più decisamente il primo. All’interno del top management, qualche voce ha sostenuto inizialmente l’opzione di dar tempo al nuovo piano appena implementato, apportando semplicemente qualche correzione, ma alla fine ha prevalso l’idea di risolvere il problema di sviluppare nuovi prodotti attraverso un approccio completamente diverso, quello dello Stage Gate. Il modello Stage Gate prevede di suddividere il processo di sviluppo di un nuovo prodotto in un insieme di fasi (Stage) intervallate da momenti di controllo (Gate). Per ogni fase il modello richiede di specificare le attività da svolgere e i deliverables da raggiungere mentre in ogni gate il management valuta i deliverables sulla base di criteri interni di valutazione del progetto, decide se il progetto può passare alla fase successiva e definisce le azioni da intraprendere a seguito della decisione. La progressione del progetto attraverso le fasi comporta da un lato una crescita degli investimenti e dall’altro una diminuzione dell’incertezza. In SCM, l’implementazione dello Stage-Gate a 5 fasi e 5 momenti di controllo ha portato a un coinvolgimento attivo, fin dall’inizio del processo, di tutte le funzioni aziendali che hanno un ruolo nel servizio ai clienti, migliorando così la consapevolezza del management e la disciplina interna, ma anche la qualità e la rapidità di sviluppo dei prodotti. 

Lo schema Stage Gate ha portato buoni risultati, allineando più strettamente le varie unità coinvolte e riducendo la probabilità di “falsi” lanci di mercato, facilitando la stima del time-to-market dei nuovi prodotti e ottenendo finalmente un legame fra i processi di innovazione e la performance economica del gruppo. Ma, dopo sei anni dalla sua implementazione, nonostante i successi, alla SCM si sono resi conto che il sistema Stage-Gate andava nuovamente ripensato. Almeno in parte. Da un lato, ci si era resi conto che per alcuni progetti più semplici e a basso rischio non c’era bisogno di un processo che prevedesse tutte le fasi e tutti i passaggi previsti dallo Stage Gate. Dall’altro, nell’era dell’Industria 4.0, alla SCM viene richiesto di produrre macchine e soluzioni tecnologiche digitali, connesse e integrate. Almeno per i prodotti digitali era necessario abbandonare lo Stage Gate a favore di una metodologia Agile, ovvero di una metodologia più indicata per progetti di sviluppo di software, che prevede di lavorare per sprints e di coinvolgere i clienti in tutte le fasi dei progetti per testare iterativamente i risultati di ogni sprint. 

Riconoscendo la necessità di cambiare un sistema che pure aveva ben funzionato, la SCM ha da un lato introdotto tre versioni di crescente complessità dello Stage Gate, con un processo decisionale legato a quale versione attivare basato su due variabili: i rischi di mercato e tecnologici e i costi di sviluppo e i ricavi attesi. Dall’altro lato, SCM ha introdotto il processo Agile per lo sviluppo dei servizi digitali. Quando i costi e ricavi attesi di un progetto sono bassi, ci si basa puramente sul processo Agile, mentre se sono medi o alti vengono introdotti momenti di gate – in quello che può essere definito un modello ibrido Agile/Stage-Gate – per valutarne i progressi. 

SCM emerge in conclusione come un esempio virtuoso di come la stessa organizzazione sia stato in grado di stare al passo con i tempi, strutturando il processo di sviluppo di nuovi prodotti in modi diversi e scegliendo l’approccio più adatto a seconda del progetto da sviluppare. 

Articolo tratto da
Nurturing innovation in product development: pursuing ambidexterity at SCM Group
Editore
ECCH
Autore
Francesco Maria Barbini, Nicolò Cocchi, Paola Giuri
Anno
2020
Lingua
Inglese