My Story, Our Story: Gerardo Famiglietti

Ottobre 13, 2015

Gli Alumni di BBS si raccontano: il prima, il dopo e i ricordi della vita da studente, per una storia di sé e della propria esperienza professionale, per una storia della nostra Community.

Protagonista del XI episodio è Gerardo Famiglietti, Amministratore filiale in Brasile ed Export Area Manager presso Unigrà S.r.l., Master in Management 2012-2013.

La colonna sonora scelta da Gerardo è La Vida Tombola di Manu Chao.


Ouverture
“Quando esco di casa devo essere pronto ad interpretare una serie di parti, di ruoli, di scene. La parte più difficile è lasciare negli interlocutori la sensazione dell’improvvisazione, quando in realtà esiste tutto un lavoro, dietro, di preparazione e di studio.” Il mestiere di Gerardo è camaleontico: non esiste una giornata tipo, la sua vita professionale è fatta di relazioni, mediazioni, repertori di situazioni, voci, pubblici e lingue diverse. Gerardo è all’inizio della sua carriera e ricopre un doppio ruolo per un’azienda italiana in Brasile.

The story so far
“Tutte le esperienze della vita tendono a cambiarci, a stratificare la nostra personalità.” Se la sua frase è vera, Gerardo di stratificazioni ne ha quante una millefoglie. Napoletano di origine, a quindici anni va via da casa per frequentare la Scuola Militare “Nunziatella”, conclusa la quale lascia le armi e si iscrive all’Univeristà di Bologna, a Lettere Antiche. Per completare la specialistica in Storia Antica, condita da un anno di Erasmus in Spagna, deve dar fondo alla riserva personale di motivazioni. “Mi mancavano due esami, avevo già scritto la tesi, ma non avevo più stimoli. Per quasi cinque mesi ho chiesto di essere legato ad una sedia com l’Alfieri del volli, sempre volli, fortissimamente volli”.
Nel frattempo Gerardo fa mille lavori e lavoretti, tutti più o meno continuativi e legati ai suoi studi. “La mia esperienza più significativa prima del Master è stata per un gruppo bancario, sempre nel settore Sales, nel B2C. Me ne sono andato quando ho cominciato a frequentare il Master. Avevo la sensazione di sbattere la testa contro il tetto.”

Perché BBS
“Stavo lavorando in uno stand in un centro commerciale, fissavo smarrito la vetrina che avevo di fronte. La luce al neon mi illuminava dall’alto facendo di me un lampante esempio dell’alienazione di un non-luogo.”
Gerardo ha ventisette anni e pensa: perché non rimettermi in gioco?
Comincia a guardarsi attorno con occhi diversi e alla fine trova BBS. Il bilanciamento fra teoria e pratica gli sembra perfetto per uno come lui, che ha lavorato sul campo senza basi accademiche. Rimanere a Bologna, per lui, è anche un investimento in praticità niente male. È un modo per chiudere il cerchio della formazione con l’Università di Bologna, in un rilancio finale.
“Non ho lasciato spazio né alla delusione né agli entusiasmi durante il periodo del Master. Io ho fatto il master per il master, l’arte per l’arte. Chi frequenta un master di solito entra in un processo mentale in cui si diventa schiavi di concetti come il placement, la valutazione delle partnership e del network della scuola. Personalmente ho voluto chiudere gli occhi per un anno e concentrarmi: credo sia stata la scelta migliore per me.”

Il pallone, Napoli e la fantasia
“Sono nato rotolando con un pallone in un campo da calcio, credo ciecamente nel successo di squadra e pochissimo in quello del singolo”. Per Gerardo, il 96,7% del suo mestiere è fatto assieme agli altri. Spiega questo suo credere al lavoro fatto con gli altri, assieme agli altri, in due momenti distinti: quando parla degli spogliatoi delle squadre di calcio e della sua infanzia a Napoli. “Una delle caratteristiche che mi hanno sempre contraddistinto è quella di sembrare un pesce nell’acqua, tanto nei vicoli strillati quanto alle cene di gala. Sono un portatore di sana napoletanità, ne vado molto orgoglioso: la città ti obbliga ad adattarti continuamente, a confrontarti con classi sociali e realtà che si confondono in continuazione”.
Questo dono gli è fondamentale per il lavoro in Brasile. “Quando credi di aver risolto un problema, in realtà ne hai innescati almeno altri due. Quando ti trovi a conciliare una cultura organizzativa aziendale europea con un universo lavorativo assolutamente diverso come quello brasiliano, devi adattarti e farci pace.”
Nella chiacchierata con Gerardo, qui, fa capolino una rima: non c’è spazio per facili entusiasmi o delusioni nel lavoro sul campo. Se si crede di aver incanalato una situazione, di essere riusciti a stabilire una regola condivisa da tutta l’organizzazione, ci si sta solo illudendo e “da dietro l’angolo fa capolino il contraltare”.

(Ndr)
C’è un sacco di teatro e di teatralità nel modo in cui Gerardo si presenta. Improvvisa con metodo, è un pesce nell’acqua in diversi contesti sociali, girovaga, viene dal sud per spostarsi in un altro sud, si trasforma.
Sembra ambizioso, e lo conferma lui per primo. Gli chiedo cosa lo ispira. “Fantasticare sugli sviluppi della mia vita futura mi aiuta, non solo in termini economici e professionali, bada bene. Quando cerco degli stimoli per uscire da certi vicoli ciechi mentali, provo a svincolarmi dal presente per immaginare un futuro possibile, più o meno reale.” Cita “Cristoforo Colombo” di Guccini (l’assurdo ci sfida per spingerci ad essere fieri di noi), dicendo che come ogni percorso dell’immaginazione, anche i suoi spesso portano a strade non battute.

Un consiglio a uno studente
“Non smettere mai di esserlo. Viviamo un’epoca così dinamica e fluida che chi pensa di essere arrivato è a un passo dal fallimento. Non vivere il termine degli studi come un obiettivo, come un termine post quem: siamo un percorso intero, che va dall’inizio alla fine della nostra vita. Non è penalizzato chi non è stato bravo finora. Non è un genio chi, invece, lo è stato. Siamo sempre alla prova, tutti, continuamente.”

 


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