Dialoghi. Fabio Zaffagnini

Giugno 9, 2016

Dialoghi sono momenti di confronto con personalità del mondo dell’impresa e della cultura che hanno raggiunto l’eccellenza nel proprio campo di attività, per conoscere il loro percorso professionale e le sfide che hanno affrontato. Abbiamo parlato con Fabio Zaffagnini, l’ideatore e organizzatore di Rockin1000. Ospite all’Innovation Talks Spring Edition.

Fabio Zaffagnini è l’ideatore e organizzatore di Rockin1000, uno degli eventi italiani più popolari sul web. Nell’aprile 2014 riesce a ottenere da una band dell’olimpo del rock come i Foo Fighters di suonare a Cesena, deviandoli dal loro tour mondiale per portarli a suonare in Romagna. Cosa non scontata visto che le grandi macchine organizzative dei concerti solitamente non consentono cambi di programma improvvisi. Rockin1000 raggiunge l’obiettivo con una idea originale e coinvolgente: realizza un video in cui mille musicisti suddivisi fra chitarristi, bassisti, batteristi e cantanti eseguono all’unisono “Learn to Fly” dei Foo Fighters. A oggi il video ha raccolto 35 milioni di visualizzazioni su YouTube, classificandosi come il video italiano più visto sulla piattaforma social nel 2015. Ma dietro all’iniziativa all’apparenza ludica si nasconde un raffinato e articolato progetto di comunicazione. Del quale Fabio ci svela importanti retroscena.

 

Quando hai capito il vero potenziale del progetto?

Fin dall’inizio era evidente a tutti che l’idea era talmente folle da avere un enorme potenziale di comunicazione. Come poi riuscire a trasferire questo potenziale comunicativo in un prodotto reale e tangibile era tutto un altro paio di maniche. Dall’obiettivo iniziale di portare i Foo Fighters a Cesena ci siamo resi conto quasi subito di avere a disposizione una community in crescita di migliaia di persone che non vedevano l’ora di ritrovarsi per fare musica, di incontrarsi per condividere una passione o semplicemente partecipare a un evento.

E il crowdfunding è stata una delle leve principali

Inizialmente non volevamo investire soldi di tasca nostra in questa cosa, volevamo finire in una “patta”, senza rimetterci. Abbiamo deciso perciò di orientarci verso il crowdfunding. Avendone già avuto esperienza diretta sapevo che è fondamentalmente un progetto di comunicazione e questa comunicazione passa in prevalenza attraverso i social. Per questo abbiamo fatto un piano editoriale e un piano di comunicazione molto articolati che ci siamo impegnati a seguire nel modo più fedele possibile. L’anno scorso fare crowdfunding per noi è stato più difficile perché non avevamo ancora maturato una credibilità e non offrivamo niente in cambio se non la soddisfazione di vedere crescere un’idea folle. Quest’anno invece il crowdfunding era incentrato sull’evoluzione del progetto Rockin1000, basato sulla prevendita dei biglietti per assistere a un evento che vedeva sul palco 1000 musicisti con una scaletta di classici del rock. Dal donatore siamo passati allo spettatore di un pubblico. Appoggiarsi al crowdfunding vuole anche dire testare la qualità, il valore e il potenziale di un’idea. Perché se qualcuno è disposto a pagare qualcosa per ottenere la realizzazione di un progetto vuole dire che questo ha effettivamente un appeal, è interessante. Il tutto senza rischi economici. Forse quest’anno avremmo potuto finanziare il progetto con le sole sponsorizzazioni, ma si sarebbe persa l’identità partecipativa della costruzione dal basso delle nostre iniziative.

Fare crowdfunding in italia è più difficile?

Io non ho mai avuto esperienze dirette di crowdfunding al di fuori dell’Italia, ma vedo che le campagne all’estero hanno riscontri incredibili, fruttando anche dieci volte più dell’obiettivo iniziale. Credo che in Italia siamo ancora lontani da questi risultati, forse perché gli italiani non sono così presenti sul web come lo sono gli anglosassoni, oppure perché c’è una sorta di sfiducia nei confronti di chi propone una campagna di crowdfunding, percepita come stratagemma furbo per fare soldi facili o addirittura come possibile truffa. Fa parte della nostra mentalità di italiani pensare a “chissà cosa c’è dietro”. Questo implica la massima trasparenza nei confronti dei nostri donatori, spiegare il perché di tutte le nostre decisioni. Negli Stati Uniti è l’idea che conquista il donatore, in Italia è il rendiconto dettagliato delle spese. Detto questo Rockin1000 è un caso di successo ripetuto per due volte consecutive, quindi sembra che le persone anche in Italia siano sempre più disposte a contribuire a un progetto “dal basso”.

Quando e come si deve usare il crowdfunding?

Se il crowdfunding ha come obiettivo la raccolta di 3000 euro può essere sostenuto da “family & friends”, cioè amici e cerchia di amici. Quando la cifra diventa più importante allora bisogna che l’idea abbia un appeal nei confronti del potenziale fruitore. Abbiamo centinaia di volontari e migliaia di musicisti coinvolti in Rockin1000. Questa è una enorme cassa di risonanza nei confronti della campagna di crowdfunding, perché quando pubblichiamo un post sui social abbiamo almeno mille persone che condividono i contenuti in modo organico. Una comunità identitaria, coesa e reattiva non necessita di investimenti in campagne di advertising. E’ come se avessimo migliaia di PR sparsi in giro per l’Italia. E pronti a sostenere la causa anche economicamente.

Una comunità che però non si può spostare dall’argomento Rock

Siamo effettivamente abbastanza verticali sulla nostra community di musicisti di appassionati di musica rock. Non abbiamo ancora capito però quanto sia ampio il raggio degli amanti della musica al quale ci rivolgiamo. Ci siamo sempre definiti “rocchettari” perché io per primo lo sono e so bene cosa piace alle persone che amano la mia stessa musica. Come gruppo sappiamo comunicare molto bene al nostro target perché è molto vicino alla nostra personalità e questo rende tutto più facile. Potremmo essere in grado di veicolare anche messaggi che non siano esclusivamente legati alla musica rock ma sarebbe un’operazione dispersiva che snaturerebbe la nostra identità, minerebbe la credibilità costruita nel tempo e disperderebbe la nostra preziosa community.

Qual è il vostro target di utenti?

Ci sono due tipologie: i musicisti, quelli che suonano negli scantinati per passione o nei pub per pochi euro. A loro diamo la possibilità di raggiungere dei palcoscenici che difficilmente potrebbero calcare. Cerchiamo di fare vivere loro l’esperienza di una rockstar. I mille musicisti di Rockin1000 sono stati protagonisti di un video che è diventato un successo planetario. Avranno a loro disposizione nel concerto di questa estate, la seconda tappa di Rockin1000, uno stadio pieno e un contesto scenografico degno di un grande artista. La seconda tipologia di follower sono gli amanti del rock. Non hanno lo stesso spirito ribelle orientato alla sfida tipico dei musicisti, però sono degli ottimisti. Credono che i sogni si possano realizzare, che impegnandosi si raggiunge l’obiettivo, che c’è una speranza nel futuro. Insomma, facciamo breccia in queste persone perché siamo stati in grado di dare corpo ai loro valori realizzando un piccolo sogno. Questa è forse la ragione principale percui guardano il video di Rockin’1000 ogni mattina, più volte. Perché è motivo di ispirazione.

La cura di una community così coinvolta deve comportare delle responsabilità

Io non amo le persone che vanno in giro a raccontare agli altri come si devono comportare o come devono vivere e mi viene da ridere quando leggo online articoli o pubblicità sulle cinque verità per avere successo o i dieci segreti per comunicare bene. Se ci fossero ricette infallibili a questo punto il web sarebbe pieno di miliardari. Come Rockin1000 abbiamo fatto uno studio molto approfondito sui nostri target, cosa piace e cosa non piace loro, che cosa li stimola che cosa li abbatte. La nostra comunicazione è sempre modellata su questi elementi riscontrati. Ci piace raccontare la nostra storia perché può essere fonte di ispirazione per tante persone ma non vogliamo che questa storia si trasformi nei classici dieci consigli. ll successo che abbiamo avuto è legato a una bella idea, a delle buone pratiche e soprattutto a una serendipità, cioè tutto un insieme di cose che sono successe senza che le cercassimo e che si sono incastrate in modo quasi miracoloso portandoci al successo. E’ qualcosa che non si può pianificare: qualche volta si verifica altre no. Non vuole dire che uno deve sedersi e attendere che le cose avvengano. Significa che bisogna provare miliardi di volte finché le cose non si incastrano nel modo giusto.

Quanto è importante l’eclettismo?

All’interno del progetto occupo il ruolo di coordinatore generale ma tutta la piattaforma informatica di gestione dei musicisti l’ho sviluppata io. Costruendo l’aspetto tecnologico, di pura programmazione, sono entrato nella visione user experience e ho esaminato dall’interno l’aspetto della comunicazione; vedere come si muovono i miei utenti all’interno del sito mi ha permesso di capire cosa funziona, cosa viene compreso e cosa no, come modificarlo e come comunicare agli utenti nel modo corretto.

Quanti siete adesso nel team principale?

Abbiamo costituito una società, siamo in sette. Abbiamo inserito le figure che ritenevamo necessarie per questo tipo di progetto. Il coordinatore generale, una project manager di eventi, una sceneggiatrice che si occupa di video making e di cinema in generale, perché ci piace l’idea che questo progetto possa essere legato a una narrazione ampia che non si limiti allo spazio ristretto del videoclip. Poi un social media manager, un ufficio stampa, un fonico e un responsabile commerciale. In pianta stabile siamo una decina di persone e a ridosso dell’evento diventiamo 250 persone di cui 200 volontari e 50 professionisti in vari ambiti, dalla produzione video alla produzione eventi, al customer care, alla grafica, ai social media e tutto il resto che serve.

Il futuro?

Ci piacerebbe portare questo progetto all’estero. Vorremo portare l’evento a New York, abbattere il confine che separa i musicisti che stanno nell’olimpo e quelli che suonano negli scantinati. Farli suonare sullo stesso palco. Abbiamo una lista di 45 rockstar che stiamo seguendo per cercare di capire la chiave per coinvolgerli. Dobbiamo sforzarci ad adeguare la nostra mentalità alla loro, perché quello che sembra un essere un valore per noi per una persona che è all’apice del successo non è probabilmente una priorità. Insomma, non ci dispiacerebbe vedere i Led Zeppelin, gli stessi Foo Fighters o Bruce Springsteen suonare con la nostra megaband in uno stadio. Continuare cioè a realizzare i sogni della nostra comunità.



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