Barbara Carfagna racconta la Datacrazia

Novembre 22, 2018

Barbara Carfagna, autrice e giornalista Rai, ha aperto lo scorso 15 novembre l’edizione autunnale degli Innovation Talks 2018, portando al centro del dibattito con la Community di BBS il tema della Datacrazia. Il ‘governo dei dati’, i rischi delle nuove tecnologie e il futuro della democrazia all’alba della terza fase di internet sono stati alcuni dei temi discussi assieme a Marco Roccetti, Associate Dean per le Tecnologie Digitali di BBS e Professore di Informatica presso l’Università di Bologna.

“È sempre bene fermarsi a riflettere è capire, specialmente quando si vive un cambiamento epocale come questo,” esordisce Barbara Carfagna, giornalista esperta di temi etici legati alle scoperte scientifiche, nonché ideatrice del programma televisivo Codice: la vita è digitale, dedicato alla divulgazione scientifica, tecnologica e sociale. “Nel 2020, noi esseri umani saremo appena 7 miliardi, mentre gli agenti connessi saranno 50 miliardi, se non di più. Questo significa che se un extraterrestre volesse entrare in contatto attraverso internet con i principali agenti attivi nell’ambiente connesso, ovvero nell’infosfera, comunicherebbe con gli oggetti, non con noi.”

Non è cambiato solamente il modo di comunicare e reperire informazioni, ma è mutata radicalmente la concezione dello spazio e del tempo. Ci siamo abituati a staccare la nostra presenza dalla localizzazione geografica e allo stesso tempo produciamo ogni giorno più dati di quanti ne siano stati prodotti negli ultimi 50 o 100 anni, cristallizzando in qualche modo la nostra esistenza in un eterno presente.

Secondo Barbara Carfagna, la rivoluzione che viviamo non è solo digitale e tecnologica ma soprattutto filosofica. “In un certo senso, abbiamo già scollato il tempo e lo spazio e viviamo contemporaneamente epoche diverse. Qualcuno vive ancora nella Storia e non ha nemmeno una minima percezione di ciò che sta accadendo. E poi ci sono persone che vivono nella consapevolezza dei dati, nell’iperstoria.”

Il professor Hiroshi Ishiguro dell’Università di Osaka, sostiene che questa sovrapproduzione di dati gestiti da un numero limitato di persone, possa portare ad un futuro dove una piccola porzione della popolazione non solo vive nell’iperstoria, ma sa anche dialogare con le macchine e gestirle, diventando addirittura un’altra specie tramite l’integrazione di elementi tecnologici nel proprio organismo. Coloro che avranno le competenze e le possibilità economiche per farlo, diventeranno presto la prossima classe dirigente, seguita in modo quasi inconsapevole dal resto della popolazione, una massa biologica senza accesso al potere.

“Da un punto di vista emotivo stiamo andando incontro a un nuovo Medioevo. Da un lato sono felice di poter vivere questa epoca con la piena consapevolezza e coscienza della trasformazione di ciò che altre generazioni credevano statico ed immobile,” continua Barbara Carfagna. “Dall’altro canto però, fa paura pensare che non c’è un vero progetto umano intorno a questo nuovo mondo connesso. Quello che si sta creando è un mondo che favorisce l’aspetto commerciale delle macchine create per l’efficienza e non per il benessere umano.” Infatti, in assenza di un progetto umano alla guida del recente e futuro sviluppo tecnologico, le preoccupazioni maggiori nascono osservando l’esempio di paesi con scarsa attitudine alla democrazia come gli Emirati Arabi, Singapore o la Cina, dove l’utilizzo estremo dei dati come forma di controllo si esprime al suo massimo livello. “Questi paesi sono in grado di accogliere queste innovazioni e sperimentarle direttamente senza avere tutta una serie di problemi di diritti umani, sociali o di consenso, e il risultato e a tratti inquietante.”

In Singapore, ad esempio, è l’app GovTech a costruire algoritmi sulla base dei comportamenti dei cittadini e a governarne il quotidiano, ma anche la vita in senso più lato. Quando i tassisti invecchiano, una sofisticata sensoristica rileva se sono ancora in grado di guidare in maniera totalmente efficiente e, in caso contrario, viene loro proposto un altro lavoro o il pensionamento. Oppure, se non si vuole che le macchine percorrano determinate strade, scattano automaticamente dei gate con pedaggi molto elevati, collegati ad una carta di credito posizionata nella macchina. In un villaggio della Cina, intanto, stanno sperimentando il social rating: i 1000 punti reputazionali iniziali vengono scalati ogni volta che attraverso webcam, social media o riconoscimento facciale viene rilevato un comportamento non gradito. Quando si arriva a 500 punti, si è impossibilitati ad acquistare un biglietto aereo o del treno, fino a perdere la reputazione, la possibilità di trovare un compagno e, con il tempo, anche il lavoro. La reputazione risulta infatti essere un deterrente più potente delle classiche sanzioni pecuniarie, tanto che in Singapore chi sporca per terra viene punito con l’obbligo di indossare una casacca fosforescente con la scritta LITTERER (sono colui che sporca).

Anche la blockchain sta entrando sempre più di frequente nelle agende dei governi. Dubai ad esempio, ha annunciato che diventerà il primo paese al mondo governato con la questo sistema, mentre in India la blockchain è stata applicata alla proprietà immobiliare, rafforzando in questo modo il sistema delle caste.

“Noi vediamo tutto questo come qualcosa di estraneo, che sta accadendo sotto governi lontani, dove la dittatura consente un’efficienza maggiore dal punto di vista di impiego delle tecnologie. In realtà avviene anche da noi, più di quanto ne siamo consapevoli, con le 7 sorelle che detengono i dati di milioni di persone e possiedono algoritmi in grado di prevedere e anticipare i nostri desideri e necessità. Possiamo dire di essere in un certo senso usciti dalla politica classica legata ai governi nazionali, per entrare in una sovranità diversa, data dalle grandi compagnie tecnologiche che centralizzano i dati e li gestiscono in una maniera tale che gli Stati perdono sempre più potere e significato,” spiega Barbara Carfagna alla Community di BBS.

I governi tradizionali, specialmente in Europa, si stanno rendendo conto che i dati stanno creando dei veri e propri continenti a sé stanti. C’è chi invece vede la salvezza nella blockchain e nella decentralizzazione, poiché vanno oltre le sovranità nazionali e digitali, consentendo di riappropriarsi dei propri dati e, in qualche modo, della propria mente.

La trasformazione che stiamo vivendo è allora da considerarsi positiva o negativa? Secondo Marco Roccetti, ci siamo abituati a discutere le implicazioni negative senza dare abbastanza spazio a quelle positive, che vanno ben oltre l’avanzamento delle tecnologie e riguardano soprattutto la società e i rapporti tra gli esseri umani. “Una recente ricerca pubblicata sull’Economist ha rivelato come l’arrivo dei social abbia avuto un effetto positivo sulle relazioni interpersonali di tipo affettivo. Ad esempio, non ci sono mai state così tante relazioni interraziali come in questo periodo della storia e questo tipo di unione sembra essere addirittura più stabile dei matrimoni tradizionali,” spiega.

“Un’operazione di buon giornalismo è secondo me rendere le persone coscienti delle conseguenze della cessione dei dati. Solo la consapevolezza può dare la giusta direzione alla società nel suo insieme,” conclude Barbara Carfagna il suo intervento in BBS. La conoscenza, infatti, è stata nella Storia come rimarrà per il futuro, il principale strumento di potere e di difesa dell’uomo. E non è mai stata raggiungibile e alla portata di tutti come in questo momento.

 

 

 

 

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