DAVIDE SARTINI, UN ALUMNUS BBS TRA I TOP 100 CMO DI FORBES

Novembre 26, 2021

Davide Sartini, Executive Master in Sales and Marketing, Vice President Sales & Marketing in UNIFILL è stato inserito tra i top 100 CMO in Italia da Forbes. Un riconoscimento importante che sottolinea la sua apertura all’innovazione e ai grandi temi con i quali i manager di oggi sono chiamati a confrontarsi. Lo abbiamo incontrato, a un anno esatto dalla sua prima intervista, per scoprire come si costruisce, ma soprattutto come si alimenta, un percorso di crescita continua e costante. 

 

Il ranking dei Top 100 CMO in Italia di Forbes seleziona figure caratterizzate da un mindset innovativo, professionisti pronti a cogliere le sfide del futuro tra digitale e sostenibilità. Puoi raccontarci, in particolare, quali sono le sfide e i traguardi sui quali sei più concentrato in questo momento?

Da diverso tempo mi dedico alla pianificazione strategica e alla definizione delle politiche e tattiche commerciali e di marketing identificando i mezzi, gli strumenti e le azioni per raggiungere obiettivi concreti nel medio-lungo periodo per multinazionali del settore industriale. L’implementazione strategica e operativa all’interno di un’azienda è un processo molto articolato. Oggi i cambiamenti sono molto rapidi e concentrati su più fronti. In primis è importante conoscere analiticamente il proprio mercato, poi è necessario sposare appieno la strategia dell’imprenditore, infine bisogna avere sempre un occhio aperto alle novità tecnologiche. Coltivare relazioni internazionali in un ambiente multidisciplinare libero da ogni pregiudizio ideologico è una premessa essenziale. Può aiutare una predisposizione al cambiamento e alla formazione continua e incessante. Con queste basi mi dedico a progettare e implementare piani di sviluppo strategico, commerciale e di marketing per consolidare o aprire nuovi mercati e studiare nuovi prodotti, il tutto con una visione olistica che coinvolga la struttura aziendale. La strategia non è un affare solo dei vertici, è principalmente realizzata per le linee dirette sui fronti commerciali. Non ha senso tenere una strategia chiusa in un cassetto, deve filtrare in ogni reparto, in ogni angolo cieco dell’organizzazione; chiunque deve sapere cosa vuole fare l’impresa e perché. La fase di comunicazione, di implementazione e il suo monitoraggio del piano strategico-operativo è una maratona a tappe che si gioca sempre e solo in squadra. È una fase che richiede tempo e che non è possibile affrontare da dietro una scrivania. È necessario andare dove viene generato il profitto, affrontare le negoziazioni, visitare fisicamente il mercato.  Oggi il mercato cambia direzione molto rapidamente ed è dovere di un manager intercettare subito queste variazioni senza commettere l’errore di sottovalutare i competitor. La velocità di reazione è fondamentale e la pianificazione strategica deve sempre guardare al futuro e ai mercati. Infine, è importante ricordare che il business è uno sport  di  contatto  e  non  un’attività individuale: nel mio ruolo di manager è importante avere una visione chiara e sviluppare piani strategici e operativi coerenti con la propria mission. 

Digitale e Sostenibilità sono due temi spesso associati. Nella tua esperienza, questi settori oggi comunicano tra loro in modo produttivo?

Esiste una letteratura sconfinata che tratta questi temi e tenta di collegarli alla produttività Con umiltà ho cercato di contribuire con i miei “2 centesimi” parlandone in un saggio, “Meteore”, uscito a Marzo 2021. Ho riportato concetti come la valorizzazione della nostra singolarità nel mondo complesso di oggi coltivando l’autodeterminazione: quel lento e prezioso processo di cambiamento che ci porta a riaffermare, in una luce nuova, le nostre caratteristiche peculiari. Nel libro parlo di quella che io definisco una rivoluzione eco-tecnologica e di come si stiano cercando di integrare, con una certa difficoltà, la tecnologia e il green. Siamo di fronte a un tornante della storia che cambierà radicalmente gli ingredienti che hanno permesso lo sviluppo della nostra società. Molte tecnologie stanno facendo il loro esordio in una nuova economia green e credo ci sia un ulteriore elemento da aggiungere, legato a un sodalizio storico: le migrazioni di diversa natura che saranno sempre più frequenti e inarrestabili. Questi tre elementi (digitale, ecologia e grandi migrazioni) sono inseriti in un perimetro geopolitico di forte incertezza, dove si contrappongono democrazie occidentali da un lato e regimi totalitari dall’altro; questa situazione complica le dinamiche socio-economiche creando ulteriore incertezza sul futuro. Le soluzioni vanno trovate dopo analisi attente. Io diffido degli slogan che promettono soluzioni immediate e indolori. Quella ecologica credo sia la rivoluzione più complicata che il genere umano abbia mai affrontato. Siamo di fronte a una sfida globale che coinvolge interessi contrapposti. La cosa importante è capire che qualche volta le spiegazioni a fenomeni complessi sono economiche, in altri casi sono politiche. Per questo motivo le competenze di un manager dovrebbero essere multidisciplinari in modo da potersi adattare a diversi contesti culturali, sociali ed economici.

Alla luce degli obiettivi della COP26 la sostenibilità sembra richiedere alle imprese una forte svolta innovativa: quali sono, a tuo avviso, i settori aziendali su cui puntare i riflettori?

Ritengo che le aziende debbano puntare su tre obiettivi principali: collaboratori, eccellere nella soddisfazione al cliente e riduzione della propria impronta carbonica. I profitti verranno di conseguenza. Le aziende più attraenti e profittevoli sono quelle che hanno sempre messo al centro la ricerca e sviluppo. Una dinamica tutta italiana è il “nanismo” delle imprese italiane. Una recente indagine ISTAT ha evidenziato che il 18,2% delle imprese Italiane è di piccole dimensioni (dai 10 ai 49 addetti), mentre le medie imprese (con 50-249 addetti) e le grandi imprese (con 250 addetti e oltre) rappresentano solo il 2,3% del totale. Inoltre questo dato è aggravato da un forte sbilanciamento geografico verso il Nord. Questo fenomeno impedisce a molte  PMI  di  fare  rete  e  relazionarsi  coi  mercati  internazionali.  L’isolazionismo  nel  business  è letale  e  le strutture organizzative a silos sono obsolete, poiché sopprimono la velocità e soffocano la creatività. Non è un caso che le maggiori digital company siano nate negli USA. In America il mercato dei capitali e l’approccio al lavoro e all’innovazione sono completamente diversi. Jack Welch ha coniato il termine SPIRIT (service, performance, integrity, respect, innovation and teamwork). Oggi l’economia cresce a ritmi molto diversi e disomogenei, i  governi  di  tutto  il  mondo  si  fanno  concorrenza  fiscale  e  sono  molto più pervasivi rispetto al passato. La competizione globale è veloce, a volte crudele e la tecnologia accelera le dinamiche di cambiamento. Le aziende italiane, specialmente le PMI, dovrebbero mettere al centro le persone. Non è retorica e neppure una frase fatta per gli house organ di rito: mi riferisco all’essenza più pura del termine stesso. Credo che basare una cultura aziendale sulla meritocrazia e responsabilità debba essere centrale nella filosofia aziendale. Una filosofia in cui la verità, il merito, la leadership e la ricerca dell’eccellenza siano al di sopra dell’egocentrismo e della mediocrità. Questi valori dovrebbero fare parte della filosofia di ogni PMI. Viviamo e lavoriamo in un mondo in continua evoluzione e di forte incertezza in cui però questi valori permettono alle aziende di resistere ai contraccolpi del mercato. I dipendenti devono recarsi sul posto di lavoro sapendo che saranno rispettati e che la loro azienda intende investire per crescere e prosperare in futuro. Le persone di talento sono attratte da aziende che trasmettono valori, che guardino al futuro con progetti strategici chiari e ambiziosi, ma soprattutto dalla meritocrazia. In merito alla riduzione dell’impronta carbonica, le aziende di maggior successo hanno da tempo intrapreso questo processo e credo che anche le PMI più piccole debbano farlo, il rischio è di finire relegati ai margini del mercato. Su questo punto, infine, non posso non citare gli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite (SDGs). Questi obiettivi non solo si propongono di ridurre l’impronta carbonica, ma anche di limitare la povertà, le diseguaglianze e altri drammi del nostro tempo. Si punta a una società più etica, inclusiva e sostenibile. Il perseguimento di questi obiettivi è una calamita per i clienti e i talenti migliori.

Si parla spesso di “professioni del futuro”. Dal tuo punto di vista, quali sono le figure professionali di cui avremo più bisogno e cosa consiglieresti a un giovane laureato incerto su come proseguire la propria formazione?

Mi fanno spesso questa domanda e ogni volta mi chiedo: che consigli daresti al Davide di vent’anni fa? Quando ripenso a quegli anni vedo un ragazzo molto diverso e non sono sicuro che i consigli di un manager over 40 gli farebbero cambiare idea. Quindi se mi venisse chiesto un consiglio, vorrei che fosse un incitamento all’azione. Gli direi di osare, di avere coraggio e che non è solo. Ognuno di noi ha una sua storia e il punto di partenza è diverso per tutti, ma fortunatamente in Italia e in Europa un giovane ha enormi opportunità, almeno rispetto ad altri luoghi. L’importante è farsi trovare pronti e per questo esorterei i giovani a non perdere troppo tempo e prendere in mano la propria carriera, anche attraverso la progettazione a medio-lungo termine. E poi leggere, studiare e viaggiare, ma anche non farsi scoraggiare di fronte a nulla e nessuno. Oltre alla progettualità, un elemento per me imprescindibile, almeno nel mio ambito professionale, ma anche nella vita, è quello della competenza attraverso la formazione costante: migliorare le proprie competenze, non sentirsi mai “arrivato a destinazione” è la base per una competenza più ricca di ciò che ci circonda, ovvero di tutto ciò che potremmo usare, in qualità di “artisti dell’innovazione”, per contribuire a cambiare una piccola porzione di mondo.

Ci siamo sentiti l’anno scorso, proprio in questo periodo, per un’intervista sul tuo percorso in BBS. Cosa è cambiato da allora, se qualcosa è cambiato, nel tuo rapporto con la nostra Community?

Il 2021 è stato un anno molto importante sotto diversi punti di vista sia sotto il profilo personale sia professionale. Nel corso della mia carriera ho avuto l’opportunità di ricoprire ruoli di responsabilità crescente come Trade Marketing Manager, B.U. Director, Global Sales Director, VP Sales & Marketing in importanti multinazionali italiane e straniere. Adesso, anche grazie alle competenze ottenute in BBS, mi confronterò con una nuova importante e stimolante sfida ricoprendo l’incarico di Director of Corporate strategy & Business development presso una multinazionale leader nella progettazione e distribuzione di tecnologie del packaging primario alimentare. Il 2021 inoltre si è contraddistinto per essere l’anno delle mie prime due pubblicazioni, “Meteore” e “Codice di Autodeterminazione”: entrambi hanno raggiunto la terza posizione nella classifica dei bestseller Amazon. Il mio rapporto con la Community di BBS è di profonda stima e condivisione e sono consapevole dell’impronta che mi ha lasciato e di come certi traguardi siano arrivati anche grazie a questa esperienza. Dal 2017, data del conseguimento del Master, ho sempre tenuto i contatti con docenti, assistenti e studenti. Sono orgoglioso di essere all’interno della community di BBS e di contribuire con testimonianze. Come ho detto, credo sinceramente che senza BBS non avrei raggiunto gli stessi risultati. Sono anche convinto che il confronto con la Community sia l’elemento più prezioso e interessante, e mi diverte ancora immaginare di essere entrato nel 2017 come studente e non esserne mai uscito davvero.

Infine, una curiosità: come si entra nella Top 100 CMO in Italia di Forbes?

Questo riconoscimento è stato per me un onore. Purtroppo, però, a questa domanda non so rispondere. Ma posso raccontare la mia esperienza. Da modenese di origini, figlio di operai, ho cominciato a lavorare fin da subito come garzone agricolo in una latteria, poi come operaio generico nel reparto smerigliatura e in catena di montaggio in un’azienda metalmeccanica. Col tempo ho ripreso gli studi e non mi sono mai fermato. La formazione è imprescindibile, e spaziare da una materia all’altra (senza però perdere di vista le proprie passioni) può davvero fare la differenza. Le scelte in ambito formativo sono determinanti almeno quanto quelle lavorative. Inoltre, come manager ho avuto l’opportunità di viaggiare molto e vivere mercati e canali di distribuzione in prima persona. Proprio grazie a questa esperienza cosmopolita ho potuto ideare e implementare modelli di business innovativi, che sono stati riconosciuti e premiati in Italia e all’estero. Sono sempre stato aperto al cambiamento, con un approccio lungimirante e contestualmente molto pratico al business. Nel corso degli anni ho avuto il privilegio e l’opportunità di vivere esperienze che mi hanno segnato positivamente, a partire proprio dai lavori più umili. Ed è grazie anche e soprattutto alle esperienze “dal basso” se, nel 2020, sono stato citato dalla rivista Capital come uno tra i Top 150 manager d’Italia under 44. Credo che il riconoscimento di Forbes sia un altro tassello in un viaggio più ampio fatto di crescita costante. Il tempo a nostra disposizione è limitato e forse basta ricordarsi di questo per trovare la forza e il coraggio di andare avanti, anche con qualche azzardo. Il resto lo fa la passione.



ISCRIZIONE

Back To Top