Dall’Executive MBA all’impegno con la Presidenza Del Consiglio, il fascino di “collegare i puntini”

Settembre 21, 2021

di Dario Ciampoli, MBA. 

Responsabile di Programma per la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Trasformazione Digitale, Co-presidente dell’Associazione Alumni BBS. 

Nel descrivere il mio viaggio professionale, non posso fare a meno di pensare a come ho “collegato i puntini” per arrivare fin qui. Mi riferisco, ovviamente, al famoso discorso di Steve Jobs all’Università di Stanford:

“Non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardando indietro. Così, dovete aver fiducia che, in qualche modo, in futuro i puntini si potranno unire”.

E allora partiamo dalla fine, cioè dal mio ultimo incarico, che più di tutti mi permette di capire il senso del mio percorso umano e professionale. Oggi lavoro presso la Presidenza del Consiglio e, partecipando attivamente al programma di trasformazione digitale del Paese, ho dovuto cambiare radicalmente prospettiva. Collaborare ai progetti con gli occhi del Cittadino e con la consapevolezza di contribuire ai bisogni della collettività rappresenta, infatti, un’esperienza molto diversa da quella tipicamente aziendale.

Condizionati da un contesto di emergenza pandemica, si stanno avviando numerosi interventi strategici di crescita e di sviluppo, che permetteranno al Cittadino di lavorare con infrastrutture all’avanguardia e utilizzando servizi integrati.

Nel dettaglio, mi occupo di interoperabilità tra le Amministrazioni e di soluzioni di front end al Cittadino, realizzate secondo il principio fondante del Once Only, che prevede la richiesta dei dati, a cittadini e imprese, una sola volta e solo di quei dati e informazioni che non siano già in possesso dell’Amministrazione stessa. Si tratta senza dubbio di una svolta epocale per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione.

Questa nuova opportunità mi offre anche una nuova prospettiva su tutto il mio percorso. Sento di aver collegato un nuovo puntino, con la consapevolezza che il disegno finale potrò vederlo soltanto alla fine, al termine del mio professional journey che provo a ripercorrere qui, cercando, con la mia esperienza, di dimostrare che nessun passaggio, nessun puntino, è inutile: tutto serve a fare di noi le persone che dobbiamo diventare. 

Quando ho cominciato era impossibile, anche proiettando lo sguardo al futuro, capire in cosa si sarebbe concretizzato tutto quello che stavo vivendo. Sono riuscito a farlo solo vent’anni dopo, guardando indietro e comprendendo il valore di ogni singolo passaggio, con le sue esperienze positive, ma, soprattutto, con quelle meno positive.

Nella seconda metà degli anni ’90, in piena new economy, con una formazione universitaria informatica, ho fatto il mio ingresso nel mondo del lavoro pieno di motivazioni e aspettative passando dal supporto agli utenti alla consulenza informatica. Presi questa decisione un po’ per potermi pagare i viaggi per raggiungere colei che poi sarebbe diventata mia moglie, ma ancor di più per dimostrare, non solo a me stesso, che la teoria va consolidata attraverso il confronto con la realtà quotidiana e con le necessità concrete dei clienti.

Qualche anno più tardi, al termine di un’esperienza in una grande azienda, estremamente formativa, sia dal punto di vista lavorativo sia sul piano umano, ho sentito il desiderio e la necessità professionale di provare una strada diversa e respirare aria nuova. In quel frangente mi colpì molto una frase di un collega, che mi disse: “cosa pensi di trovare là fuori?” 

Quella domanda riecheggia spesso nella mia mente, come uno spartiacque fondamentale. Non so cosa mi aspettassi, ma di certo so che ero desideroso di crescere, curioso di scoprire nuove tecnologie, incontrare nuove persone, fare nuove esperienze provando quella sensazione di piacevole paura, che ogni cambiamento lavorativo può generare, poiché implica il passaggio inevitabile dalla propria zona di confort ad un contesto ignoto, ricominciando daccapo. E questo desiderio non mi ha mai abbandonato.

A distanza di diversi anni, posso dire di aver vissuto almeno altre cinque volte, in altrettante aziende o ruoli aziendali, quella forte spinta al cambiamento, pur passando attraverso contesti eterogenei e assumendo incarichi e responsabilità nuovi. Il tutto amalgamato con l’esperienza formativa più intensa degli ultimi tre lustri: il mio amatissimo Executive MBA.

L’Executive MBA è al centro di un reticolo che ha collegato tutte le mie vite lavorative, grazie a una formazione multidisciplinare e interdisciplinare, che rappresenta ancora oggi, così come in passato, un fattore critico di successo nel complesso meccanismo di “moltiplicazione delle opportunità“.

Chiudo questo intervento, che spero non sarà l’ultimo, anzi vorrei fosse il primo di una serie che mi terrà e vi terrà compagnia nel corso del mio nuovo impegno professionale, condividendo i tre temi principali che hanno caratterizzato il mio modo di lavorare.

Il primo è l’attenzione alla persona, contrapposta a ciò che definisco “il management dell’arroganza”. Ho avuto l’opportunità di conoscere molte persone, tra collaboratori e collaboratrici e veri e propri compagni e compagne di squadra, con cui ho condiviso esperienze, vittorie, sconfitte e anche scorci di vita personale. L’attenzione che ho sempre posto nella gestione della relazione ha caratterizzato il mio approccio interpersonale, qualunque fosse il rapporto lavorativo o gerarchico. La disponibilità ad ascoltare e l’apertura verso punti di vista differenti dal proprio rappresenta un elemento di crescita e arricchimento personale e professionale. Da questo punto di vista, per fortuna, l’aspetto legato alla gentilezza nel management è un valore che ultimamente si sta riscoprendo, dopo qualche anno di indebolimento a favore del management dell’arroganza, in cui l’autorità ha avuto spesso la meglio sull’autorevolezza. 

Il secondo tema è la capacità del manager di garantire e facilitare l’autonomia gestionale e decisionale dei propri collaboratori. Con il passare del tempo, con la crescita e con l’esperienza, si può correre il rischio di perdere un po’ della propria capacità realizzativa e si può diventare inclini a gestire ciò che altri realizzano direttamente. In questi anni sono spesso stato indotto a riflettere sulla capacità di delegare, accompagnandola però alla capacità di sostenere i collaboratori lungo il percorso di crescita, rendendoli autonomi.

Il terzo e ultimo tema, ma non meno importante, è rappresentato dall’opportunità di sbagliare. Partendo dal presupposto che ogni esperienza vissuta, negativa o positiva che sia, costituisca comunque un passaggio importante, ricordo proprio gli insuccessi come le occasioni che hanno saputo regalarmi i più profondi insegnamenti. Passata la delusione del momento, la razionalizzazione dell’errore costituisce il passaggio più prezioso, che, in un contesto aziendale, passa attraverso due momenti distinti: quello interiore (personale) e quello condiviso (collettivo o di team). 

A collegare tutti questi temi, fil rouge di tutti i miei puntini, ci sono le persone. Le persone che incontri e con cui ti relazioni sono la cosa più importante. Fissata questa premessa, la direzione verso cui dirigerai il prossimo puntino dipende soltanto da te, dai tuoi comportamenti e dal tuo modo di essere.



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