My Story, Our Story: Rachele Busca

Aprile 28, 2015

Gli Alumni di BBS si raccontano: il prima, il dopo e i ricordi della vita da studente, per una storia di sé e della propria esperienza professionale, per una storia della nostra Community.
Protagonista del secondo episodio è Rachele Busca, Global Reimbursement and Health Economics Manager in Medtronic, MBA distance learning XIV, 2011-2013 (attuale Professional MBA Part-time).

La soundtrack scelta da Rachele è Breathe di Midge Ure.

 

Ouverture
Individua con precisione chirurgica l’oggetto delle sue risposte. Usa le metafore come ausili per spiegare il suo mestiere. Rachele è così, una miscela di precisione, quiete ed entusiasmo a cui solo le periferie amanti del verde sanno lasciare spazio. Tutto nella massima informalità. Ci parliamo via Skype, chi dall’ufficio chi dalla casa vicino Losanna, aspettando l’arrivo del Salvatore: l’Idraulico.

 

The story so far
“Un viaggio in linea retta da Fano a Losanna. Primo pit stop a Bologna per la laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutica, il secondo a Milano dove ho cominciato a lavorare per un’azienda del settore farma”. Attualmente Rachele si occupa di Reimbursement e Health Economics per un’azienda di dispositivi medici. Si preoccupa di individuare gli stakeholder-chiave per fare in modo che i nuovi prodotti arrivino agli ospedali e ai pazienti, attraverso i sistemi di funding previsti dai diversi governi. Ma questa è solo metà del lavoro: bisogna soprattutto far capire che cosa sia un rapporto di costo-efficacia per un nuovo dispositivo, e supportare con queste informazioni le decisioni in ambito sanitario. “È un lavoro fatto di informazione clinica ed economica, che unisce gli aspetti monetizzabili all’impatto che il nuovo presidio può avere sulla vita e sulla qualità di vita del paziente.”

La formazione di Rachele è tecnico scientifica, ma sono le tinte byroniane del lavoro a esaltarla. “Passare da un intervento a cuore aperto a uno in anestesia locale, con una valvola cardiaca passata da una sonda tramite l’arteria femorale, è emozionante. Ha un impatto altissimo sulla vita di una persona che magari ha ottanta anni e altri problemi. Il biomedicale è più emozionante del farma”.

 

Perché BBS
“Ha influito molto il back to the future“. Per Rachele Bologna è l’Università, gli anni passati al Ciamician. Quando internet le fa vedere che può perfezionare il suo percorso a Bologna, facendo avanti e indietro da Milano nei fine settimana, non ci pensa due volte. Ricordando la biblioteca liberty di via Belmeloro, decide che la sua prossima esperienza sarà nel cuore di una villa tardorinascimentale sui colli. “Ho capito solo dopo di aver fatto la scelta giusta, e al momento giusto della mia carriera. Mi servivano nuove competenze per vedere tutti gli aspetti strategici del business, non solo legati al core del mio lavoro quotidiano, per far procedere il mio percorso”.

Rachele ha molti pilastri caratteriali che reggono la sua professionalità: l’affidabilità, la costanza, la competenza e la puntualità, in tutti i sensi. Quella non pervenuta nell’idraulico svizzero.

 

Sogni, tra privati e pubblici
Rachele crede che le professionalità formate in ambito privato potrebbero portare grande valore nel settore pubblico. “Quando mi chiedono se tornerei a lavorare in Italia rispondo di sì, ma solo lavorando per il sistema pubblico. Mi danno della pazza, ma credo che nella gestione del governo clinico ci sia bisogno di grande razionalizzazione. Mi continuo a preparare pensando che magari un giorno questo sogno potrebbe uscire dal cassetto.”

La fame di competenza, efficienza ed efficacia morde spesso durante l’intervista, ma mai in maniera fredda. Rachele non sembra influenzata dalla vita quotidiana in Svizzera. C’è nelle sue parole un inespresso bisogno di vedere le cose al posto giusto per permettere a tutto il resto di crescere al meglio. Il lavoro globale in una verde e privilegiata periferia d’Europa è il contralatare dei weekend milanesi “dove tutto è più creativo”, dice, e quel desiderio di pertinenza nel posizionare le cose si riversa anche sulle persone. Anzitutto se stessa.

“Quando ho cominciato a lavorare in Medtronic il mio inglese era debolissimo, ma nonostante questo l’azienda ha scelto me. D’altra parte è una realtà così internazionale che finisci per parlare e ragionare nella lingua che vuoi. Passare da un contesto locale a uno globale è stata la vera sfida, a livello di forma mentis. Avevo le crisi da metà giornata.” Ad oggi, però, la sfida che Rachele riconosce come più dura è un’altra.

 

Just kids
“Se mi avessi fatto la domanda qualche anno fa ti avrei risposto diversamente. Ma oggi ti dico che la maternità è stata la sfida più difficile. Siamo ricorsi all’inseminazione artificiale, un percorso bellissimo, e difficile che dal punto di vista psicologico richiede tanto. Di fronte a questa esperienza, tutto quello che c’è stato prima è stato ridimensionato all’ordine del problema piccolissimo.”

Il piccolo Riccardo è nato nove mesi fa. Ha una mamma che gli parla in italiano e che crede nella qualità, più che nella quantità del tempo libero. “Mi piace immaginarlo con qualche problema lingusitico in meno rispetto quelli che ho avuto io. Per questo sto pensando a una scuola internazionale per lui. Vorrei regalargli il tempo che si dedica ad imparare una lingua per fare altro. Sogno possa fare delle belle chiacchierate con i suoi cugini in cui scorre anche sangue americano, kazako e british”.

Il report materno suona così: Riccardo è molto bravo, siamo molto contenti e sta andando tutto bene.

 

(Ndr)
Dovendo scegliere tra il saper e il poter fare, Rachele sceglie la prima opzione. “Per me preferisco così. Credo non si sia mai arrivati. Io sono una persona molto concreta: mi ispirano le persone che riescono a produrre, le parole non mi bastano. Non me ne intendo di arte, ma giro per fiere d’arte contemporanea osservando il tangibile che ho attorno, e mi esalta.” Dell’idraulico non c’è ancora traccia, ma immagino un dialogo in cui lei cerca di svelare i misteri del mestiere.

 

Un consiglio a uno studente
“Mi è capitato di avere stagisti, spesso della London School of Economics. Sono neolaureati che si presentano come futuri premi Nobel. Poi arriva il laureato italiano. Non si sa presentare bene, ma capisci che c’è dell’esperienza e della sostanza. I programmi universitari italiani, almeno nel mio ambito, preparano moltissimo, ma manca la preparazione alla comunicazione e alle soft skill dei programmi esteri. Per intenderci: mia nipote di sei anni vive in Florida, e ha fatto un segnalibro alle elementari. Prima, però, le hanno fatto fare un business plan. A sei anni è eccessivo, ma fa capire quanto siamo indietro sotto questo aspetti. Quindi il mio consiglio è di fare un bel periodo all’estero. Uno stomaco italiano con una bella dieta estera, spacca”.


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