La supply chain in epoca covid-19, tra risk management e nuove sfide

Aprile 14, 2020

Il 30 gennaio, data in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato ufficialmente l’emergenza, ha marcato una nuova epoca anche per quanto riguarda la produzione su scala globale, coinvolgendo indistintamente tutti i tipi di aziende.

Tra i denominatori comuni, l’esigenza, per ogni tipologia di impresa, di ripensare ai propri modelli di business e, soprattutto, di definire a stretto giro una policy di risk management per la propria sopravvivenza: “La pandemia ha sollevato una serie di considerazioni legate alla misura in cui le aziende riterranno opportuno dotarsi di strumenti di controllo del rischio associato alle loro supply chain”, spiega alla Community BBS Paolo Barbieri, Ricercatore di Ingegneria Economico-Gestionale presso l’Università di Bologna e docente per il Master Executive in Supply Chain and Operations.

“L’evoluzione delle supply chain a cui abbiamo assistito negli ultimi due decenni ha generato sistemi molto complessi, geograficamente dispersi e sottoposti a forti stress in termini di tempistiche di consegna. Ma è indubbio che una situazione come quella cui stiamo assistendo – continua l’esperto, co-autore del libro ‘Supply China Management’ – peraltro del tutto nuova in termini di portata e livello di incertezza – dovrebbe stimolare un approccio differente e più consapevole rispetto alla loro capacità di risposta alle criticità, che potrà attuarsi attraverso varie strategie, tra cui una diversa gestione dei canali di fornitura. Ad esempio, le aziende dovranno valutare con attenzione il livello di rischio delle situazioni di monofornitura, ancora piuttosto frequenti, e considerare invece l’opportunità di investire nel potenziamento della loro rete o nell’internalizzazione di alcune funzioni. Si tratta di processi complessi e costosi, ma fondamentali per ridurre il rischio in caso di emergenza”.

Tra i recenti esempi virtuosi, il docente ricorda come Lamborghini abbia sostenuto i propri provider in seguito al terremoto che colpì l’Emilia-Romagna nel 2012: “Naturalmente il livello di complessità in cui ci troviamo ora è molto superiore, sia perché non si tratta di una situazione circoscritta nel tempo e nello spazio, sia perché l’ultimo decreto Conte ha bloccato la produzione di molte aziende per salvaguardare l’incolumità dei dipendenti, ridurre gli spostamenti e cercare di contenere il rischio di contagio.

Le aziende italiane che da tempo hanno intrapreso strategie virtuose di stretta collaborazione con le proprie filiere – penso a casi come Barilla e IMA Group, che assicurano ai propri provider assistenza tecnica e operativa, garanzie o condizioni di credito privilegiate – mi paiono certamente più attrezzate per affrontare la turbolenza di questo momento. Le imprese lungimiranti potenzieranno queste strategie, puntando sulla stabilità sia dei propri stabilimenti, sia della filiera nel suo complesso”, spiega Barbieri.

Strettamente connessa alla sostenibilità delle filiere, troviamo il fenomeno del reshoring, di cui si parla da tempo, e che consiste nel rilocalizzare in occidente quelle produzioni decentrate in Asia, e non solo: “difficile prevedere cosa succederà, considerato il lockdown che riguarda l’intero sistema economico nazionale, ma il risk management non potrà non considerare il rientro dei processi produttivi in Europa in base a valutazioni di tipo economico e strutturale. Il reshoring – continua Barbieri – è probabilmente destinato ad aumentare, poiché sono subentrate una serie di motivazioni geo-politiche e macroeconomiche che hanno mostrato rischi e complessità di alcuni mercati asiatici. Non dobbiamo poi trascurare un ulteriore aspetto: il sistema produttivo nazionale si è rivelato vulnerabile su alcuni segmenti produttivi, come quelli di alcuni presidi medici elementari, la cui strategicità era stata sottovalutata ed è riapparsa ora in modo drammatico”.

La strada più conveniente, insomma, non è certo dare per scontato che il rischio sia sotto controllo.

Autore: Paolo Barbieri



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