[intervista] Dialogo con Cristina Bowerman

Giugno 3, 2016

I nostri studenti dal Global MBA Food and Wine, hanno ricevuto la visita di un ospite molto speciale: Cristina Bowerman. La Chef Michelin è nota per la sua passione, le sue conquiste nell’industria del cibo oltre che la sua storia unica.

 

Cristina Bowerman, che dal 2006 è alla direzione del ristorante Glass Hosteria di Roma, è l’unica donna che nel 2008 riceve le due forchette dal Gambero Rosso, nel 2010 riceve la Stella Michelin ed è stata premiata a Identità Golose 2013. La talentosa Chef ha condiviso con i nostri studenti del track Food and Wine, del Global MBA, le sue esperienze. Per saperne di sul suo percorso professionale leggi l’intervista sotto.

 

La sua è una storia molto particolare. Laureata in giurisprudenza, nel 1991 va a San Francisco per approfondire gli studi. Dopo due mesi comincia a lavorare in una creperie. Si iscrive all’Università di arte culinaria e diventa Menu Production Manager di una compagnia proprietaria di 16 ristoranti di alto livello. Nel 2005 torna in Italia e a Roma comincia la felice avventura di Glass. Come ha riconosciuto la sua vocazione?

Non credo alla vocazione unica. Credo invece che abbiamo tanti skill e parti diverse di noi da esplorare. Io, per esempio, ho iniziato trascurando completamente tutta la mia vena artistica pensando che le mie sorelle e mia madre fossero le artiste di casa. Poi, a trent’anni, mi sono accorta che non avevo mai esplorato quella parte di me. Facendolo ho scoperto di avere in effetti una vocazione e mi sono dedicata alle arti, quindi al disegno grafico e poi alla cucina, che ritengo essere una forma di espressione della creatività. Credo che ognuno di noi dovrebbe fermarsi a un certo punto della propria vita e cercare di capire quali sono le cose che fa meglio e quelle che fa peggio, provare a farne di nuove, insomma esplorare. C’è sempre qualcosa che ci piace fare, la difficoltà sta nel cercarla e nel trovarla.

 

Il Gambero Rosso ha scritto che Glass Hostaria è il più newyorkese dei locali della capitale. Quanto è stata importante per lei l’esperienza americana?

È stata fondamentale. Non sarei quello che sono oggi senza la formazione personale e professionale che ho ricevuto negli Stati Uniti, un paese che ti insegna un approccio a 360 gradi, completamente diverso da quello italiano. Probabilmente se fossi stata in Italia non avrei mai intrapreso questa carriera, e forse non avrei mai raggiunto questi livelli. Come dico sempre, il sogno americano è vivo e vegeto e fa bene a tutti. In America ho imparato quell’approccio di customer service di cui in Italia non si sentiva neanche parlare. E l’ho portato a Glass. Ho spiegato ai miei collaboratori che bisogna avere il pane per celiaci, bisogna avere piatti per vegetariani e per chi ha allergie, bisogna capire chi sono i nostri clienti, le loro abitudini. Il mio socio ha recepito immediatamente tutto questo, lo ha assorbito e ora fa parte integrante del nostro modo di proporci. In America, inoltre, ho lavorato per anni su Internet e sull’esposizione mediatica, quindi per me è stato semplice muovermi per l’inserimento dei ristoranti nelle guide. Tutti dicono che sono una cuoca molto mediatica. Non è così, è che semplicemente ho 10 anni di vantaggio.

 

Lei è allo stesso tempo chef e manager: oltre a decidere e supervisionare le linee dei piatti, controlla i costi, si occupa dell’inventario, delle ordinazioni. Crede che manchi nella ristorazione italiana la figura di un manager specializzato che collabori con lo chef e che si occupi degli aspetti gestionali?

Assolutamente sì. È una figura che si trova spesso negli alberghi, dove però si occupa principalmente dei conti e non del magazzino, tantomeno di trovare soluzioni che possono portare a risparmi. Nella ristorazione invece questa figura non esiste, ed è un peccato. Il manager non dovrebbe solo tenere i rapporti con i fornitori, ma occuparsi del magazzino, andare alla ricerca di nuovi prodotti da proporre, fare da filtro con lo chef. Se ad esempio lo chef ha bisogno di un pecorino, il manager deve raccogliere informazioni e prospettargli tutti i pecorini a disposizione. Non è un ruolo semplice, anche perché spesso i ristoranti in Italia sono piccole aziende. Anche se adesso le cose stanno cambiando: noi oggi abbiamo 45 impiegati nel ristorante Romeo e 20 a Glass.

 

Lei ha detto: “Per me lo studio è fondamentale e mi ha dato modo di dimostrare che posso fare lo chef come un uomo”. Crede che in questo mestiere ci sia ancora una questione di genere?

Esplicitamente no, ma in maniera velata sì. Lo chef viene ancora identificato come un uomo. Ho detto che lo studio è fondamentale perché mi dà la possibilità di combattere ad armi pari. Studiare mi ha permesso di avere quell’edge in più, di essere sempre un passo avanti, di sfondare utilizzando un altro canale, che non era né quello del sex appeal né quello della forza fisica. Io non credo che ci sia una differenza tra chef uomo o donna. È il mio background culturale e educativo, è la mia storia che mi porta a creare un determinato piatto, la femminilità non c’entra niente.

 

Quale consiglio si sente di dare ai nostri studenti?

Il mio consiglio è quello di essere curiosi, sempre. Di guardare alle altre culture, di avere una visione globale, ed essere capaci così di anticipare le mode.

 


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