“Strategia e Leadership nella storia”. Intervista ad Andrea Lipparini

Settembre 14, 2022

Andrea Lipparini, Ph.D., è Ordinario di Gestione dell’innovazione all’Università di Bologna e Associate Dean per i programmi Executive MBAs in BBS, dove dirige l’Executive Master in Business Administration. In occasione dell’uscita del libro “Strategia e leadership nella storia. Lezioni per i manager” edito da Il Mulino, del quale è autore insieme a Gianfranco Di Pietro, gli abbiamo chiesto di raccontarci cos’è e dove nasce una buona leadership, oggi come ieri. Ecco cosa ci ha risposto. 

Leader si nasce o si diventa? Lo studio e l’applicazione quanto influiscono sullo sviluppo e l’accrescimento della leadership?

Anche se c’è chi nasce con il carisma e le doti necessarie per guidare gli altri, la maggior parte dei leader ha imparato ad esserlo fondamentalmente grazie a tre ‘ingredienti’: la motivazione; l’impegno a migliorare costantemente le proprie capacità; l’esposizione a situazioni che permettano di creare e implementare il proprio stile di leadership. In questo volume mostriamo come tre grandi condottieri storici (Annibale, Cesare, Napoleone) abbiano sviluppato le proprie doti di leadership con l’osservazione delle pratiche di chi li aveva preceduti e di chi avrebbero dovuto affrontare. La leadership si osserva in azione ed è grazie all’azione che si rivela. 

In quali ruoli o in quali contesti aziendali è indispensabile aver fatto un percorso ben preciso per poter essere in grado di esercitare una buona leadership? Cosa ci insegnano i grandi leader storici in merito?

I leader del passato e quelli contemporanei hanno background molto diversi e si caratterizzano per una pluralità di percorsi. 

Annibale, a nove anni, seguì il padre, il grande generale Amilcare, in Spagna – dove i Cartaginesi controllavano ampie zone. Crebbe a contatto con i soldati, sviluppando le doti guerriere e le competenze che lo avrebbero legittimato come leader presso i suoi uomini. Annibale aveva di fronte a sé la sfida di misurarsi con la più grande potenza militare, economica, culturale del mondo antico: Roma. Si appella ad una diversa, grande eredità culturale, quella greca, e inventa una cosa del tutto nuova: la strategia, che cambia quasi ad ogni battaglia. Poi affina uno strumento formidabile, il suo esercito di mercenari, e mette in ginocchio Roma. Esercitò magistralmente il ruolo di leader portando migliaia di uomini a compiere, in inferiorità numerica e in territori ostili, imprese inimmaginabili. 

Lo stesso dimostrò Cesare, antagonista dell’aristocrazia (alla quale egli stesso apparteneva) e sostenitore della necessità di cambiamento. Prima della conquista della Gallia dimostrò abilità oratorie e capacità relazionali ma fu con quella grande impresa che egli perfezionò la leadership e testò la fedeltà delle legioni. Praticava la velocità decisionale e d’azione, l’impiego di informazioni, la realizzazione di opere che sono considerate capolavori di ingegneria. Il suo essere leader lo si osservava relativamente al come selezionava, allenava, motivava i soldati, al come guidava con l’esempio. Giulio Cesare si costruisce una sfida quanto mai ambiziosa, partendo da una condizione comune a molti giovani romani della sua epoca: conquistarsi ricchezza economica e potere politico senza pari. La campagna gallica è un esempio straordinario di una competenza che si costruisce in una prova continua, con una grande fiducia in sé stessi (fino ad allora aveva dato prova di essere un comandante di coorti ma non di legioni) e senza poter contare, a differenza di Annibale, sull’esempio paterno. 

Napoleone utilizza una condizione storica irriproducibile, la Rivoluzione francese, per lanciare una sfida inusitata all’intero mondo dell’Antico Regime. Ha solide competenze tecniche (è un esperto di artiglieria), combatte come molti dei suoi modelli (tra i quali figurano Annibale e Cesare!). È rapido, micidiale, ha un colpo d’occhio che gli permette di interpretare alla perfezione la disposizione dell’esercito avversario e la tattica dei suoi generali. Era un manager attento, con grandi competenze nello sfruttamento dei punti deboli degli avversari. La sua leadership, che raggiunse probabilmente il suo apice ad Austerlitz, non gli impedì di commettere clamorosi errori di sottovalutazione dell’avversario, di sopravvalutazione delle proprie capacità, di scelta dei membri del team nella battaglia decisiva. 

In sostanza, i protagonisti di questo volume erano, al tempo stesso, abili nel management e nella leadership; possedevano abilità strategiche, esecutive, organizzative e questi sistemi di azione erano complementari uno all’altro. La leadership può diventare fragile quando diventa una leadership ostinata, finalizzata a non cambiare schemi di pensiero, assetti e tattiche che hanno funzionato un tempo. La vera sfida è quella di combinare un forte management e una forte leadership e usare ciascuno per bilanciare l’altro.

Come applicare gli insegnamenti storici al mondo aziendale?

Similmente alle capacità di management, anche quelle di leadership possono essere apprese. La storia fornisce una base di confronto sui motivi dei successi, le cause delle sconfitte, gli errori commessi. Le situazioni sono simili e opportunamente contestualizzate portano a riflettere su: come valorizzare al meglio le competenze di una grande quantità di persone (si pensi agli eserciti multietnici di Annibale e di Cesare, ad esempio); come mettere in campo schemi innovativi e pratiche che sorprendano i concorrenti (ad esempio, la manovra avvolgente di Annibale, la celeritas di Cesare, la strategia dell’attacco centrale di Napoleone); come reperire e utilizzare le informazioni prima di un’impresa da compiersi in contesti poco conosciuti (si pensi alla seconda guerra punica sul suolo italico o alla già citata conquista della Gallia); come risolvere problemi in tempi brevi; come comunicare un’idea, una visione, un obiettivo strategico portando le persone ad impegnarsi al massimo delle loro capacità. 

Se un manager avverte il bisogno di approfondire la dimensione strategica della sua attività, da pochi può apprendere come da Annibale e da Scipione. Se il manager sente il bisogno di approfondire i fattori necessari ad un’impresa che, disponendo di risorse scarse, deve misurarsi contro un nemico potente che gioca in casa, non c’è lettura migliore del De bello gallico, opera scritta dallo stesso Cesare che presenta in maniera persuasiva l’importanza dell’esecuzione, della superiorità tecnologica, della celeritas, della guida e motivazione degli uomini, dell’innovazione. 

Le imprese, nel confronto con le best practice del passato e con l’analisi degli errori dei grandi condottieri, possono acquisire consapevolezza sull’idoneità delle proprie iniziative ad affrontare concorrenti poco conosciuti in mercati lontani; sul repertorio di informazioni in loro possesso; sul sistema di alleanze che supporterà l’esecuzione; sul reperimento di risorse in loco; sul finanziamento dell’iniziativa, soprattutto per le strategie destinate a produrre risultati dopo molto tempo (la missione di Cesare in Gallia durò 8 anni; quella di Annibale in Italia più del doppio). 

La storia, per il manager esposto all’esperienza di chi lo ha preceduto, può diventare una vera risorsa: arricchisce i problemi di significato, allarga la prospettiva e, a volte, indica la strada verso le leve manageriali che potrebbero contribuire a risolverli.  

Il messaggio che ne ricava il manager è evidente: le grandi vittorie possono essere seguite da cocenti sconfitte se ci si adagia sui passati successi, se si nega la possibilità che l’avversario sappia superarsi. Le risorse e competenze di un tempo possono diventare obsolete se il concorrente è determinato. La storia può insegnare che può essere sbagliato fermarsi e rinunciare, ma è altrettanto sbagliato l’eccesso di fiducia in sé stessi. L’analisi delle sconfitte e degli errori porta il manager a riflettere sulla natura di quei fallimenti, sui capovolgimenti di fronte, sui segnali a volte deboli che anticipano l’insurrezione dei nostri collaboratori collegata al mancato ascolto delle loro esigenze. Gli errori di un tempo, se analizzati e capiti, portano a riflettere sui propri, contribuendo a rovesciare una cultura aziendale che sfrutta l’errore non per apprendere, ma per punire. 

Può indicarci tre caratteristiche di un buon leader? Quale potrebbe essere la caratteristica per eccellenza del leader ideale?

Per prima cosa occorre capire cosa fa un leader rispetto ad un manager. I manager devono affrontare e gestire la complessità (come fecero i tre protagonisti del volume) attraverso la pianificazione e il budgeting: tipicamente il manager definisce gli obiettivi, il piano per raggiungerli, l’allocazione delle risorse; inoltre, crea la struttura organizzativa e assegna i compiti a risorse umane che reputa qualificate; comunica il piano, delega responsabilità (non sempre, se ricordiamo Napoleone) e mette in campo sistemi di monitoraggio dello stato di avanzamento del piano. Tra le competenze del manager vi sono anche quelle di controllo dettagliato dei risultati e di problem solving: sulle abilità dei legionari di Cesare si potrebbe scrivere un manuale di project management. 

I leader devono invece occuparsi del cambiamento. Hanno il compito di sviluppare una visione del futuro, nonché le strategie che consentano all’impresa di allinearsi con questa visione. La leadership ha a che fare con visione e strategia. Il leader non organizza le persone; le allinea, comunicando le traiettorie di sviluppo ai manager che dovranno creare le coalizioni per il cambiamento, ed anche motivando e ispirando per fare in modo che le persone possano orientarsi durante il cambiamento. La leadership prevede un maggior livello di empowerment rispetto a quello previsto dai manager per consentire alle persone di contribuire ad aggiustare i processi in contesti soggetti a rapidi cambiamenti. 

Quello che ci si aspetta da un leader definisce anche la leadership ideale. Il paradigma che presentiamo e discutiamo nel volume considera l’errore come qualcosa di inevitabile. Anche i protagonisti di questo volume hanno fallito: Annibale non è riuscito a passare da un programma militare ad un programma politico; Cesare, praticamente imbattuto sul campo, subì anch’egli la forza dirompente della complessità di un quadro politico in trasformazione; Napoleone, oltre che dagli avversari, è stato sconfitto dai suoi stessi errori. Il leader migliore è quello che, consapevole della sua fallibilità, cerca di compensarla con  un’altrettanto consapevole messa in opera di azioni volte a correggere gli errori. I leader devono poi essere inclusivi, ovvero: devono lavorare per la messa a valore delle diversità e battersi per rendere concreto un sistema meritocratico. Ciò richiede un mindset aperto, fatto di ascolto e di attenzione, di iniziative per rendere efficace la collaborazione. Sono leader propensi a delegare, a valorizzare le diversità di pensiero, ad aumentare la coesione a livello di team nonché la sicurezza psicologica dei partecipanti. Sono leader che promuovono la trasformazione dei seguaci mediante il coinvolgimento nel processo di autorealizzazione del leader. 

In definitiva, i leader ideali – uomini e donne – sono quelli che accompagnano i follower a diventare leader. 

 

Leggi il commento di Alec Ross a proposito del libro qui.

Visita il sito dell’editore qui.



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