L’impatto dei media sui mercati finanziari

Aprile 11, 2018

Il ruolo dell’informazione e del modo in cui viene riflessa nel valore degli strumenti finanziari è da tempo un tema centrale nel dibattito scientifico. La visione classica proposta nel 1970 dal premio Nobel per l’economia Eugene Fama postula che la presenza di mercati finanziari efficienti sia associata alla possibilità che l’informazione disponibile possa essere scontata nei prezzi. Più recentemente è cresciuta nella letteratura finanziaria la consapevolezza di quanto anche i canali e le modalità attraverso cui l’informazione venga presentata possa portare ad esiti finanziari del tutto differenti.

 

In questo senso esistono due principali meccanismi che possono influenzare il modo in cui gli investitori ricevono e processano l’informazione finanziaria: gli intermediari informativi (giornali e TV) che selezionano e veicolano le informazioni e il modo in cui ogni individuo può interpretare differentemente la stessa informazione sulla base delle proprie credenze o pregiudizi (eventuale presenza quindi di biases cognitivi).

Il rapporto quindi tra informazione e finanza si arricchisce di una doppia complicazione. Da una parte infatti l’informazione che raggiunge gli investitori è già di per sé selezionata e potenzialmente parziale e porta quindi ciascun individuo a focalizzare l’attenzione su un limitato numero di argomenti. D’altra parte, e di conseguenza, una volta giunta all’investitore la stessa informazione può essere interpretata in maniera differente a seconda di come ciascun investitore processa l’informazione stessa.

A ciò va aggiunto che spesso l’effetto dei media può anche essere quello di focalizzare l’attenzione degli investitori non su tematiche nuove, informazioni prima non conosciute o non correttamente interpretate, ma può semplicemente spingere la limitata attenzione già sopra menzionata verso un determinato settore o industria. È ad esempio il caso di quanto documentato da un lavoro pubblicato nel 2001 sul Journal of Finance riguardo a un’impresa farmaceutica e la possibile scoperta di una cura per il cancro: il New York Times dedicò nel suo inserto domenicale ampio spazio a un’impresa biotech e ai suoi avanzamenti scientifici. Nessuna delle informazioni riportate erano in realtà nuove e i progressi dell’impresa in questione erano già noti da almeno cinque mesi. Ciononostante, il prezzo azionario crebbe il giorno successivo da 12$ a 85$ per poi assestarsi sui 52$.

È quindi evidente come i media possano influenzare le dinamiche del comportamento di investimento, catalizzando l’attenzione pubblica o sposando una specifica causa. Questo non è però l’unico mezzo attraverso cui i giornali possono incidere sui mercati finanziari. In una vasta serie di occasioni la loro azione può essere determinante sia per migliorare la gestione delle imprese, mettendo in evidenza possibili abusi o frodi, sia per veicolare al meglio l’informazione corporate agli investitori con particolare riferimento a quelli di piccole dimensioni e non professionali.

Questi risultati, insieme a uno studio generalmente più attento al tema della relazione tra comunicazione e finanza, sono stati resi possibili anche dal forte sviluppo e dalla diffusione di nuove tecniche di analisi dei testi prodotte dagli avanzamenti della linguistica computazionale. I testi infatti possono essere visti come dati da cui estrarre in maniera automatica statistiche e misure (si veda a tal proposito le applicazioni del machine learning sulla finanza). Le più semplici di queste ci possono dire ad esempio quanto negativo o positivo risulti un testo basandosi su un conteggio della proporzione di parole tonali. Per il lessico finanziario, ad esempio, sono disponibili dizionari, quale quello proposto da Tim Loughran e Bill McDonald, che tengano in considerazione del gergo specifico utilizzato dall’industria finanziaria.

In un recente articoloEmanuele Bajo (Direttore del Global MBA in Corporate Finance di Bologna Business School) e Carlo Raimondo (Università della Svizzera Italiana) mostrano come il tono utilizzato dai giornali nel presentare le società in occasione della loro quotazione in borsa possa avere un effetto importante sul cosiddetto fenomeno dell’underpricing. Per underpricing si intende quel fenomeno ampiamente documentato dalla letteratura scientifica per cui le imprese che si quotano in borsa tendono a fissare, apparentemente in modo irrazionale, un prezzo di offerta inferiore rispetto a quello che il mercato sarebbe disposto a pagare, determinando in questo modo un aumento del prezzo, a volte significativo, nel corso del primo giorno di quotazione. In questo articolo gli autori mostrano come una parte di questo fenomeno sia associato al tono utilizzato dai giornali nel presentare la società quotata e come un trattamento più positivo da parte loro presumibilmente spinga gli investitori retail ad acquistare le azioni non appena disponibili sul mercato, aumentandone di conseguenza il prezzo e rendendo più consistente il relativo underpricing.

 

Emanuele Bajo, Direttore del Global MBA in Corporate Finance, Bologna Business School

Carlo Raimondo, Ricercatore in Finanza e Comunicazione, Università della Svizzera Italiana



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