My Story, Our Story: Federico Palomba

Marzo 31, 2015

Gli Alumni di BBS si raccontano: il prima, il dopo e i ricordi della vita da studente, per una storia di sé e della propria esperienza professionale, per una storia della nostra Community.
Protagonista del primo episodio è Federico Palomba, Head of Marketing, Digital, Fan Relationship Management – Juventus Football Club, studente del primo Master di BBS, ICT Management, 2001.

La soundtrack scelta da Federico: Star Guitar dei Chemical Brothers.

 

Ouverture
“Faccio un mestiere che non puoi raccontare alla nonna”. Il lavoro di Federico non è una bandierina da mettere sul plastico tradizionale di una città, come l’avvocato sul tribunale o il bancario sopra una grossa insegna a forma di dollaro. Federico lavora alla Juventus e si occupa di Marketing e di Digital. Probabilmente, di fronte al plastico della città, sorriderebbe per il bianco e nero delle strisce pedonali.

 

The story so far
“Mi è quasi sempre capitato di lavorare in contesti tradizionali con il bisogno di trasformarsi, di spostare il loro business sul digitale”. Prima di lavorare nel settore che è Dopolavoro nazionale, Federico è passato per il Corriere della Sera, Google e Ferrari. Molto discretamente, ammette di essere un privilegiato: ha sempre lavorato su prodotti che gli sono piaciuti. Essere “quello del web” nei ruggenti anni zero non è una passeggiata. “Un po’ di innovazioni nelle aziende ho avuto la fortuna di vederla, sia nel business che dal punto di vista organizzativo. Capitava però che il capo ti chiamasse per dirti che il pc non funzionava. Quei momenti rendevano chiaro quanto fosse complicato far capire quello che facevi”. Poi c’è stata Google, dove sono stati gli amici a non capire. “Bisogna essere matti per vendere un sito bianco”, cita a memoria. Alla fine, però, l’Amore vince tutto.


Perché BBS
Il corteggiamento parte con un ronzio notturno, quello di un computer che scarica musica. Quella cosa chiamata Internet appassiona Federico già nei secondi anni ‘90, così tanto che per mestiere vorrebbe metterle le mani addosso. Capisce anche che la passione per il digitale non basta. Vuole colmare alcune lacune. Così riesce a vincere una borsa di studio alla Columbia University, per seguire dei corsi che cominceranno appena quattro mesi dopo la laurea, a ottobre 2001. Poco prima della partenza, arriva un giorno indimenticabile di quell’anno: l’11 settembre. Federico non può più di partire. Si guarda attorno, cerca un’alternativa a quello che avrebbe trovato a New York. La risposta arriva per bocca dell’amore, cercando su internet. Trova il primo MBA italiano in ICT Management: passa da Manhattan ai colli bolognesi. Abbandonato l’aereo, Federico ha fatto del treno il suo mezzo di trasporto elettivo. Prima la BBS a Bologna, per studiare, poi Modena, per il tirocinio in Ferrari all’interno del Master. A seguire Roma, Milano, e poi Torino.

 

Finalmente domenica!
“C’è una frase che ho letto da qualche parte: non si tratta di fare digital marketing, ma di fare marketing in un mondo digitale.” Federico parla volentieri del suo lavoro in Juventus. È li da quattro anni, il periodo più lungo passato in un’azienda. Dice che il 75% del suo lavoro è fatto assieme agli altri, con tempi lavorativi che ancora una volta lascerebbero stupefatta la nonna. “Quando tutti gli altri si riposano e si divertono, noi lavoriamo. La domenica dobbiamo seguire la partita, mentre agosto è uno dei mesi lavorativi più complicati”.

 

(Ndr)
A un certo punto chiedo a Federico cos’è la costanza. Mi risponde dicendo che è soprattutto coraggio, assieme a una grande fiducia nelle proprie scelte. “Spesso si pensa che i coraggiosi stravolgano e ribaltino l’ordine costituito. Col tempo, grazie ad esempi molto vicini, mia moglie prima di tutti, ho capito che non è così. C’è molto più coraggio nel portare avanti le cose”. Qualcun altro, pensandola allo stesso modo, avrebbe detto che la costanza è forza. Nelle sue parole, però, c’è un orizzonte diverso. È una miscela tra senso di responsabilità e sentirsi presenti a se stessi, tesa come una fibonacci e con le Alpi sullo sfondo. Lo provoco, gli dico che quello che dice suona terribilmente torinese. Federico cala le carte, dicendomi che ci è nato e cresciuto. “Non avrei pensato di tornare a vivere qui, l’ho fatto per la Juventus. L’intolleranza che ho per questa città che critico tantissimo è l’indice di quanto non sopporto certi lati di me stesso”. Oltre a molta torinesità, le parole di Federico hanno molto di chi si è avvicinato a Internet tra il 1995 e il 2002. La musica elettronica, la cotta iniziale per il file sharing, l’aver superato lo scoppio delle bolla di internet e molte domande sugli effetti sociali della rete.

 

Tu lo leggevi Rekombinant?
“Non credo ai grandi discorsi fatti dal patriarca seduto sulla poltrona, forse perché non so farli.” Federico è papà di due bambine di cinque e sei anni, le sue gagne (bambine in torinese). Ha un po’ di domande per la testa su come educare al digitale. “Li chiamiamo nativi digitali, ma saper usare un iPad non vuol dire sapere cos’è la tecnologia. Credo ci sia pochissima consapevolezza, ancor più nei miei coetanei, convinti di saperne perché stanno tutto il giorno su Facebook”. Parliamo dei Coder Dojo, ma lo sento scuotere la testa “Perché? Perché per un bambino dovrebbe essere più importante per il coding rispetto al saper suonare bene uno strumento musicale?”. Continuiamo a parlare, pensa a sé da adolescente e a come potrebbe essere l’adolescenza delle gagne. Cosa significherà entrare nell’età adulta con un resoconto fotografico delle proprie esperienze adolescenziali sui social network?

 

Un consiglio a uno studente
“Quello che consiglio è di capire bene che tipo di vita vuoi fare. Prima del lavoro, del tipo di carriera o di professione, di sapere quanto vorresti guadagnare, bisognerebbe fare lo sforzo di capire cosa quella scelta di vita implica. Ai colloqui dico sempre: occhio perché qua lavori nel weekend, quando ti invitano a un matrimonio tu sei alla partita, le ferie ad agosto non esistono. Spesso mi trovo davanti ragazze e ragazzi con meno di trentanni che sgranano gli occhi. È un peccato, perché hanno messo un sacco dell’entusiasmo che si ha a quell’età in qualcosa che forse, in definitiva, non gli appartiene. Poi c’è un’altra cosa: i mesteri cambiano, ed è strano vedere tante persone giovani essere così legate a cinque o sei mestieri che esistono da 50 anni. Le nuove opportunità esistono, bisogna avere il coraggio di cercarle. Alle volte ci s’infila in degli imbuti. Il mio mestiere, meno di 10 anni fa, non esisteva”.


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