The Innovation Formula: intervista a Paolo Dalla Mora su creatività, strategia e scelte audaci

Aprile 28, 2025

Una sera di primavera, immersi nel verde che circonda Villa Guastavillani, il confronto si è acceso attorno a una domanda tanto semplice quanto sfidante: che cosa rende un’idea davvero capace di diventare impresa?

Sul palco di Bologna Business School, durante il Leadership Workshop dal titolo “The Innovation Formula: Creativity, Strategy & Bold Moves”, Paolo Dalla Mora – imprenditore, visionario, fondatore di ENGINE e Campamac – ha condiviso con la Community la sua esperienza fatta di intuizioni, marketing strategico e decisioni controcorrente.

Moda, food, spirits: ogni settore esplorato è stato per lui un nuovo territorio da conquistare, sempre con lo stesso approccio concreto e creativo. Nel dialogo con Alec Ross e Barbara Lorenzini, Dalla Mora ha offerto una riflessione autentica e potente su cosa significhi oggi fare impresa con coraggio, mantenendo saldo il legame con la propria visione originaria.

Abbiamo incontrato Dalla Mora a margine del workshop per approfondire con lui alcuni temi chiave della sua esperienza imprenditoriale, dal rapporto tra creatività e strategia alle decisioni audaci che trasformano un’intuizione in un’identità distintiva.

 

Nel suo intervento ha parlato di equilibrio tra creatività e strategia. Quali sono gli ingredienti fondamentali per trasformare un’intuizione in un brand solido e riconoscibile?

La creatività segue sempre un processo fatto di quattro fasi: progettazione, idea brillante, execution e verifica. C’è un momento di sconforto che arriva sempre quando hai una buona idea, ma a un certo punto ti rendi conto che non è facile da implementare, e allora scema l’entusiasmo e ti viene voglia di tornare alla tua vita normale, che però non è quella ideale. A quel punto arriva la svolta, l’idea brillante, il colpo di genio che ti fa decidere di andare in execution. 

L’errore che fanno in molti è fermarsi prima dell’execution. Ma bisogna superare questa paura perché a parole non si convince più nessuno: bisogna passare all’azione. E bisogna farlo senza temere di sbagliare. I più grandi risultati della storia sono stati ottenuti per tentativi e nessuno può saperlo meglio di noi che viviamo nella terra di Leonardo da Vinci. Proprio lui, che ne ha fatte tantissime, ne ha sbagliate anche di più. Quindi l’importante è tentare, tentare, tentare. Io ho imparato a non cercare la perfezione prima di iniziare. All’inizio ero molto minuzioso, oggi il mio approccio è: 90% good is good. Parti, poi aggiusti in corsa. L’importante è far vedere ciò che hai creato. Non sarà perfetto, ma sarà reale, ed è questo che conta. Poi potrai migliorarlo attraverso il fine tuning, che è ovviamente sempre necessario, ma prima di tutto: get real.

 

Durante il workshop si è parlato anche di scelte coraggiose. Come si prende una decisione audace senza perdere coerenza con i propri valori e con la visione d’impresa?

La prima vera scelta coraggiosa è iniziare. Quando decidi di fare l’imprenditore o assumerti un ruolo di leadership, ti prendi una responsabilità enorme.  I brand, dal mio punto di vista, sono come bambini. Vanno nutriti, cresciuti e poi lasciati andare.

Lasciare andare un brand significa farlo crescere. E non sempre cresce come tu vorresti. Perché non stai costruendo la tua casa, ma il futuro di un’entità a sé. Come un figlio: speri che lavori, che un giorno diventi padre. Ecco, anche i brand vanno lasciati andare verso il loro futuro. 

Una scelta coraggiosa che ho fatto? Far entrare in partnership su ENGINE un’azienda con cui avevo già lavorato, ma che non condivideva pienamente i nostri valori di comunicazione. Loro erano molto tradizionalisti. Però era un compromesso: nel marketing mix avevano la distribuzione. Così li ho fatti entrare. È stata una scelta coraggiosa, ma coerente: ho tenuto la maggioranza, ho dato forma alla strategia globale. Loro mi hanno seguito. È costato fatica: non è facile spiegare a un tradizionalista perché fai certe scelte. Ma quando costruisci la fiducia, ti seguono. E quando ti seguono, li puoi portare dove vuoi.

 

Ha lavorato in settori diversi: moda, food, spirits. Quali competenze ha portato con sé da un ambito all’altro e cosa ha dovuto reinventare ogni volta?

Le competenze che ho portato con me sono quelle di strategia e marketing. E il marketing lo puoi adattare a qualsiasi business. Noi spesso pensiamo che sia comunicazione o prodotto, ma non è così. Il marketing è un tavolo con quattro gambe: prodotto, prezzo, promozione, distribuzione, le famose quattro “P”. Se una di queste manca o traballa, il tavolo balla. Quindi la strategia ha dei problemi. 

Sono competenze cross category. Quello che invece devi reinventare, oltre ovviamente al prodotto, è  il modo in cui comunichi al target. Ogni settore ha i suoi codici. Il target del food oggi ha certi canoni di comunicazione, il fashion un altro, gli spirits un altro ancora.

Una volta in Italia c’era Chiara Ferragni che comunicava tutto, tanto che ha lavorato anche con noi. Ma oggi non esiste più il comunicatore unico e in effetti, se ci pensiamo, lei era un media, come Elle o Vogue, e avrebbe potuto comunicare qualsiasi cosa. Andava ben oltre il concetto di influencer e, in ogni caso, io non uso molto gli influencer. Io preferisco lavorare con early adopter e ambassador. Gli ambassador vanno identificati nel mondo di riferimento: se devo parlare al mondo degli spirits, parlo a chi li consuma, ma anche alla comunità dei barman. Se parlo di food, parlo tanto alla signora che cucina quanto allo chef, che per me rappresenta un endorser, cioè una figura competente che dà valore al mio prodotto nel momento in cui ne diventa, appunto, ambassador. Nella moda, si tratta di vestire le persone giuste, quelle che contano in quel mondo. Una volta c’erano Anne Wintour e Franca Sozzani. Oggi è necessario trovare i nuovi comunicatori, il sistema della moda è in crisi proprio perché il mondo degli influencer non è più un punto di riferimento.

 

ENGINE è un progetto fortemente legato al territorio e al Made in Italy. In che modo questi elementi contribuiscono a costruire un’identità distintiva sul mercato globale?

È fondamentale essere chiari. Noi pensiamo di avere un progetto e che il consumatore lo capisca. Ma capisce solo quello che gli racconti, e che lui è in grado di capire. Con ENGINE abbiamo scelto di non raccontare un luogo, ma un’identità. Non il “gin di Bologna” o “delle Langhe”, ma una storia che parlasse a chi condivide dei valori precisi: motori, racing, stile italiano. Se fai il gin di Bologna, lo vendi ai bolognesi o ai tifosi del Bologna, perché per il resto del mondo non sarà rilevante. Noi volevamo parlare a chi ama il mondo delle corse, dei motori, dello stile. Serviva una storia rilevante per quel target

E poi, attenzione: non si combattono guerre mondiali, devi combattere una battaglia alla volta. Noi siamo partiti dall’Italia, poi UK, poi Belgio, Germania, Giappone. Step by step. Serve concentrazione delle risorse. Devi essere focalizzato. E devi avere visione. Ma soprattutto: think global, act local. Non c’è frase più vera.

 

Che messaggio vuole lasciare agli studenti e ai giovani professionisti della Community BBS?

Vorrei lasciarne più di uno, dopo questa chiacchierata e la partecipazione vista al workshop. Il primo: a parole non si convince più nessuno. Quando si costruisce qualcosa, non si fa su carta, su PowerPoint, su ChatGPT. Vogliamo cose reali, vere: andate in esecuzione. 

Il secondo: non abbiate paura di sbagliare. Quando ero piccolo si diceva: sbagliando si impara. Ed è vero. E infatti imparerete tantissimo quando avrete la cosa fisica davanti a voi, anche e soprattutto se ci sarà qualcosa che non funziona. 

Terzo: non abbiate paura di fallire. In Europa, e in Italia ancora di più, il fallimento è visto come un marchio. Ma non è così. È solo un errore. E vi dico questo: un problema non risolto è un problema più grosso. Meglio fallire e ricominciare. Non abbiate paura del giudizio.

E infine: stay hungry, stay foolish, diceva qualcuno che per me è stato d’ispirazione. Ma aggiungo anche: stay happy. Fate cose che vi piacciono. Che vi divertono. Una volta si diceva: “mollo tutto e apro un chiringuito”. Ma anche un progetto fatto bene può farvi divertire. Se vi diverte, vi appassiona. E se vi appassiona, funzionerà.



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