2021 anno di svolta per l’Italia: e anche i manager dovranno cambiare

Settembre 15, 2021

Alec Ross, Distinguished Adjunct Professor di Bologna Business School e docente nel Global MBA e nell’Executive MBA per l’anno 2021/2022, nell’intervista di Piero Pavanini per il Sole24Ore il 14 settembre 2021, su percorsi formativi e trasformazione manageriale.

In questo periodo è molto facile imbattersi sui media in personaggi più o meno competenti e famosi che fanno la loro analisi del presente e propongono la loro idea del futuro. Tutte legittime ancorché plausibili, ma spesso superficiali e prive di concretezza. Le persone comuni, ma soprattutto le organizzazioni, coloro che hanno ambizioni di crescita professionale, i giovani, a quali fattori dovrebbero fare davvero attenzione e studiarne dinamiche evolutive in questo periodo?

 

Non è facile dare una risposta a questa domanda, ma è fondamentale porsela, per evitare di essere travolti dalla consueta inondazione di informazioni più o meno inutili cui siamo sottoposti ed essere colti impreparati da un futuro che probabilmente stravolgerà velocemente il mondo cui siamo abituati. Molti pensatori e futurologi se la sono posta, uno in particolare ha dato una chiave di lettura su cui riflettere, ed è utile conoscerla, per la particolarità del personaggio e per la sua interpretazione della realtà.

 

Si tratta di Alec Ross, uno dei 100 uomini più influenti del mondo, imprenditore, autore e consigliere per l’innovazione di Barak Obama. È interessante la sua interpretazione perché Alec ha un cuore italiano (è nato in Italia e vissuto a Roma), ha una grande conoscenza del nostro Paese, ma è uomo di innovazione che dialoga quotidianamente con personaggi come Jeff Bezos, Bill Gates, Tim Cook. La sua lettura parte dal fatto che il 2021 sarà per l’Italia l’anno più importante dalla fine della Seconda guerra mondiale, e le decisioni che saranno prese ora influiranno per decenni sul futuro nostro e dei nostri figli.

 

Cita l’economista Joseph Schumpeter e Pablo Picasso: “Ogni atto di creazione inizia con un atto di distruzione”, che è quello che, pur senza macerie, abbiamo vissuto negli ultimi due anni. La crisi ha accelerato tendenze che covavano come braci sotto la cenere, ed ha evidenziato problematiche annose per il nostro Paese. Non dobbiamo fare l’errore di guardare indietro e cercare di ricostruire le cose come erano prima, ma guardare avanti, cercare di costruire qualcosa di nuovo, partendo dai processi che la crisi ha accelerato, primo fra tutti la digitalizzazione di interi comparti dell’economia, accettando il fatto che non è possibile resistere all’innovazione, ma che questa va abbracciata, afferrando le opportunità che ne deriveranno, e lasciando morire senza rimpianti le imprese, i processi, le idee, le infrastrutture obsolete che la tecnologia ha già condannato. Perché ne nasceranno di nuove che richiederanno nuove competenze e creeranno nuovi posti di lavoro.

 

Gli ultimi anni hanno dimostrato come la tecnologia è in grado di trasformare radicalmente interi comparti dell’economia. Se diciamo che la tecnologia odia i supporti e le infrastrutture fisiche, insomma “il ferro” come si dice in gergo, forse siamo grossolani, ma non siamo lontani della realtà. Pensiamo a come ha dematerializzato la musica, il gioco, la biglietteria aerea, i negozi, il cinema, il denaro, i processi di finanziamento, gli eventi, e fra pochi mesi impatterà sulla catena commerciale dell’auto disintermediando le concessionarie e facendo piazza pulita di autosaloni grandi come centri commerciali, piazzali ricolmi di vetture, venditori con la parlantina sciolta. Già, perché le auto si potranno configurare, ordinare e pagare su Internet e il dealer la dovrà solo consegnare e assicurare il servizio post-vendita. Questa sarà ancora una volta la parola chiave: servizio (sull’usato, sui finanziamenti, sulle coperture assicurative, ecc.), che dovrà essere erogato da persone competenti e aggiornate.

 

Nell’era agricola chi deteneva il potere erano i proprietari terrieri, nella rivoluzione industriale quelli che avevano il controllo delle fabbriche, nell’era della digitalizzazione sono i detentori dei dati. Siamo agli albori di una rivoluzione che avrà al centro la gestione e la capacità di utilizzo dei dati, e se consideriamo che nel 2025 ci saranno 75 miliardi di dispositivi collegati a Internet (oggi sono 35 miliardi), è intuibile quanta parte dell’economia ne sarà influenzata.

 

Ma dobbiamo fare in fretta, se è vero che in Italia negli ultimi anni non si è mai realizzato un Unicorno (start up che raggiungono il miliardo di valore) mentre Paesi come la Svezia o la Svizzera ne vantano a decine. Ross continua con alcuni suggerimenti su azioni che andrebbero attuate a livello Paese, per rimuovere finalmente annosi ostacoli alla crescita, e cita la possibilità di agevolare chi fa impresa e investe, semplificare la vita per chi affronta un fallimento senza considerarlo un’onta da nascondere a vita – il fallimento fa parte della crescita – e ancora l’investimento sui giovani – l’80 % dei top manager italiani ha più di 50 anni, in Usa e Uk, meno del 45% – l’accesso delle donne al lavoro con la possibilità di fare carriera compatibilmente con le esigenze della famiglia. Tutte cose che conosciamo e su cui si dibatte da anni ma la cui soluzione è diventata urgente, se vogliamo andare verso un nuovo miracolo economico e non verso un inesorabile declino.

 

Infine, Alec Ross ci ricorda due cose: la prima è che l’Italia ha storicamente le competenze tecniche per eccellere. Non a caso da 600 anni è al centro dell’innovazione globale, avendo dato vita ad alcune fra le più straordinarie invenzioni della storia: la lampadina, il telefono, la banca, il motore a scoppio, la macchina per scrivere, la reazione nucleare, ecc. La seconda è che l’Italia ha anche le competenze culturali: la sua base di umanesimo, la sua tradizione legata alla bellezza, all’arte, alla poesia e alla letteratura, in un mondo che sarà sempre più dominato dalla scienza e la tecnologia, ciò che ci rende più umani diventa sempre più importante, e molte delle innovazioni che daranno forma al prossimo decennio saranno quelle che combinano l’umanesimo con gli sviluppi della scienza e della tecnologia.

 

Ma cosa dobbiamo fare quindi per essere pronti a questa tempesta perfetta? Innanzitutto, sapere che esiste e sta arrivando, poi essere disponibili all’apprendimento costante, che sarà l’unico fattore che consentirà non solo di un avere un lavoro, ma di essere leader e poter puntare alla crescita. I giorni in cui consideravamo concluso il nostro processo di apprendimento dopo la laurea sono finiti, e ancora di più quelli in cui un manager in carriera è convinto di sapere come le cose vanno fatte e non si mette in discussione, mentre invece le cose cambiano, mettendo a rischio il suo posto di lavoro nel giro di poche settimane.

 

Se questo 2021 sarà l’anno decisivo non lo sappiamo, ma che stiamo andando verso una rivoluzione, innescata e accelerata dalla pandemia, ormai non è più un mistero. E se la rivoluzione costituirà una ripartenza e uno slancio verso la crescita, dipende sì dagli organi di governo, ma anche dall’atteggiamento che tutti noi dimostreremo verso questa sfida. Una sfida che non possiamo permetterci di perdere.



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