[intervista] Dialogo con Annamaria Pastore

Giugno 22, 2016

Dialoghi sono momenti di confronto con personalità del mondo dell’impresa e della cultura che hanno raggiunto l’eccellenza nel proprio campo di attività, per conoscere il loro percorso professionale e le sfide che hanno affrontato.


ANNAMARIA PASTORE – 
Head, Private Sector Partnerships, Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO).

“La fame è un problema che non possiamo risolvere da soli ma solo attraverso un approccio che coinvolga istituzioni accademiche, governi, ONG e soprattutto settore privato.”

Spesso il management, la sanità, le politiche alimentari e il sociale sembrano mondi molto lontani. È davvero possibile unirli?
Questo è il proposito della mia vita. Ho lavorato per molti anni nel settore privato, come Sustainability Senior Manager in una compagnia farmaceutica, per poi tornare al mio vecchio amore: le Nazioni Unite. Ho visto il lato umano del business e ho voluto portare i problemi di chi era senza voce a chi poteva avere i mezzi per risolverli. Il mio lavoro è far incontrare la coscienza umana del business – che non può mancare in un mondo globalizzato, anche solo per una questione di sostenibilità nel medio periodo – con i problemi fondamentali dei paesi in via di sviluppo. Cerco di portare soluzioni che facciano la differenza.

Ricordo quando ho lavorato in un paese in via di sviluppo, durante un’ispezione presso un campo per i rifugiati. Un intero villaggio stava morendo per mancanza d’acqua, a causa dell’assenza di un componente idraulico del valore commerciale di un euro. Era una questione di mancanza di volontà politica, non di mezzi. Da quel momento ho sentito la vocazione ad agire in tal senso.

 

Qual è stata la competenza più importante per la tua carriera?
Una solida formazione accademica mi ha permesso di capire quali sono i fattori che guidano e sottendono i problemi più importanti del mondo. Devo all’accademia la mia coscienza.
Poi c’è la passione, una grande idealità e la voglia di fare un lavoro che trascende se stessi.
Infine c’è la tenacia, assieme al saper credere nel bene all’interno delle grandi imprese. Queste sono troppo spesso considerate dei mostri dello sviluppo, mentre non bisogna mai dimenticare che sono fatte di persone, persone che quando si appassionano a una causa sanno trovare le sinergie per trovare una soluzione. Molti dei successi che sono riuscita ad ottenere per nome della FAO sono stati resi possibili dall’energia di chi ha deciso di fare qualcosa per migliorare il mondo. Anche per questo mi piace stare qui, tra gli studenti, per vedere il fuoco sacro che anima l’idealità dei giovani.

Quanto le abilità di management sono state importanti per la gestione della tua attività?
La mia risposta può suonare come una barzelletta: credo che senza una passione italiana e una capacità manageriale tedesco-americana non sarebbe stato lo stesso! Poi c’è la conoscenza di metodi innovativi, per identificare soluzioni là dove non sono immediate. Nel mio caso si tratta di portare un business dove non sarà remunerativo nel medio periodo.
Infine bisogna essere perseveranti, per non lasciarsi scoraggiare e trovare soluzioni. Quando ero più giovane, alle volte, mi lasciavo buttare giù da un risultato non raggiunto. Chi lavora alla FAO, invece, sa che sta lavorando per dare voce a chi non ne ha. Non bisogna mollare e ricordare che si sta facendo qualcosa che trascende dal proprio ego, dalla propria carriera. Occorre essere dei manager con un cuore, ma dei manager.

 

Annamaria Pastore, ospite al MBA Green Energy e Sustainable Businesses, è responsabile dei Rapporti col Settore Privato dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO).
Laureata in Diplomazia alla Facoltà di Scienze Internazionali e diplomatiche a Trieste, Master in Relazioni Internazionali a Parigi alla Sorbona, diversi corsi in management alla London School of Economics, Master in Peacekeeping all’Università Sant’Anna di Pisa, insegnante all’Università di Northwestern per i diritti umani, fellow alla Kennedy School ad Harvard dove si è occupata del rapporto tra le emergenze complesse e i diritti umani.

 

 

 



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