Improvvisazione e management: indagine sui grandi chef italiani

Settembre 13, 2018

Nonostante negli ultimi anni la letteratura di management abbia prodotto numerosi e significativi contributi sull’improvvisazione, ancora oggi nel parlare comune in impresa l’improvvisazione è considerata quasi unicamente come una modalità di problem-solving cui ricorrere in casi di emergenza. In realtà è un fenomeno complesso, un processo creativo in cui ideazione ed esecuzione coincidono, fondendosi in un’unica fase dove esperienza e competenza consentono di affrontare l’incertezza senza comportamenti pianificati.

Attraverso uno studio basato sul settore dell’alta cucina in Italia, l’articolo (edito in versione integrale su Economia & Management) illustra come funziona l’improvvisazione in impresa a livello individuale e propone una nuova categorizzazione che mette in luce quei comportamenti improvvisati che vanno oltre le scelte di emergenza.

Gli studi di management sull’improvvisazione sono partiti dall’osservazione che nelle performing arts, in particolare nel jazz e nel teatro, essa conduca spesso a risultati innovativi. Purtroppo però, nel linguaggio comune, l’improvvisazione viene tendenzialmente connotata negativamente, associata a decisioni non ragionate o ad azioni impreparate. Invece, l’improvvisazione è un comportamento deliberato e spesso una deviazione genuina che rappresenta una risorsa molto efficace se basata su competenze ed esperienze strutturate e consolidate, poiché consente di affrontare livelli e tipi di incertezza difficilmente gestibili se trattati solo attraverso consueti strumenti di pianificazione strategica e classiche competenze manageriali.

L’alta cucina, un contesto fondato su sperimentazione e creatività, ma al contempo fortemente caratterizzato da ruoli definiti e gerarchie interne altamente strutturate, così come alto è l’affidamento su routine organizzative predeterminate, può offrire ampie possibilità di studio dell’improvvisazione all’opera. Dallo studio, svolto su un gruppo composto da 27 chef – al momento dell’intervista 3 avevano 3 stelle Michelin, 10 due stelle, 10 una stella e 4 nessuna stella – sono emersi quattro tipi di improvvisazione: l’improvvisazione su richiesta, l’improvvisazione spontanea creativa, l’improvvisazione per emergenza e l’improvvisazione organizzata.

L’improvvisazione su richiesta, probabilmente uno dei tipi di improvvisazione più comuni, viene attivata dalla richiesta da parte di un cliente, ad esempio il desiderio di provare un piatto nuovo non presente nel menù. Gli elementi subito evidenti sono la richiesta esterna, estemporanea e inattesa, la possibilità di agire in completa libertà e la realizzazione di una nuova soluzione, la costrizione temporale e la tensione data dalle aspettative da rispettare.

Il caso più classico di improvvisazione, dove il processo creativo non segue un disegno pianificato è l’improvvisazione spontanea creativa. A differenza della creatività basata sulla composizione che implica tempi e momenti creativi lunghi, meditati, definiti e separati nel tempo, nell’improvvisazione spontanea creativa il processo e il risultato avvengono nello stesso momento, confondendosi. Il risultato in sé perde quasi importanza rispetto al processo che lo ha generato e che diventa esso stesso il fulcro dell’improvvisazione.

I dati raccolti hanno confermato l’idea, già consolidata in letteratura, che ci si rivolga all’improvvisazione per gestire situazioni inattese o per risolvere problemi emergenti. Qui l’improvvisazione agisce esattamente come un processo di problem-solving realizzato tramite le risorse immediatamente disponibili sottomano. Questo comportamento non porta a dei risultati particolarmente innovativi, ma genera un nuovo processo, una nuova soluzione utile sul momento. Nell’improvvisazione per emergenza è evidente la dipendenza dalla ricombinazione veloce della conoscenza a disposizione, oltre che delle risorse materiali che si hanno immediatamente pronte.

Il quarto tipo, l’improvvisazione organizzata, può sembrare in un primo momento un controsenso, ma sono molti gli intervistati che hanno rivelato di organizzare e pianificare l’improvvisazione. Nell’alta cucina ci sono due situazioni principali nelle quali si può verificare questo tipo di improvvisazione. Nella prima, i cuochi hanno già deciso che alcune azioni della giornata saranno improvvisate, come la creazione degli amuse bouche (il benvenuto della cucina), dei pre-dessert o dei piatti fuori carta. Nella seconda situazione tutte le soluzioni potenzialmente soggette a improvvisazione sono previste in anticipo: i cuochi hanno già deciso come gestire sul momento un’improvvisazione potenziale, in modo da evitare la difficoltà generata da sfide inattese. L’idea di un’improvvisazione organizzata ha significative implicazioni manageriali poiché può rappresentare uno strumento complementare alla pianificazione strategica. Esistono casi in cui le organizzazioni arrivano a sviluppare fortissime competenze improvvisative, generate da casi di improvvisazione che si sono trovate ad affrontare. Con il tempo l’improvvisazione diventa essa stessa una routine che può essere pianificata e organizzata.

La natura dell’improvvisazione è molto più complessa e sfaccettata di quanto sappiamo. Siamo soliti identificare l’improvvisazione come un comportamento estemporaneo, unica via di uscita in situazioni difficoltose. L’identificazione del processo di improvvisazione organizzata è piuttosto controintuitivo perché racconta come l’improvvisazione possa essere organizzata fino al punto di pianificarne l’utilizzo. Le aziende possono guardare ai diversi tipi di improvvisazione e abbracciarli in modo diverso a seconda delle potenzialità che si nascondono dietro ad ognuno di essi.

Non è detto che tutti i tipi di improvvisazione si verifichino in tutte le realtà aziendali, ma rimane importante la capacità di trasformare l’improvvisazione in un’opportunità, pensando a come si possa passare da un tipo di improvvisazione all’altro, considerando che sono tutti determinati dalle routine e dalla conoscenza accumulata nel tempo. Lo studio è stato condotto nell’alta cucina, un settore estremamente creativo dove il processo di sviluppo di un nuovo prodotto è il principale driver di successo. Tutte le imprese però, anche quelle che operano in contesti meno creativi, hanno la necessità di adattarsi costantemente al mercato a gestire l’imprevisto in modo veloce ed efficace. Oggi spesso le competenze per rispondere ai cambiamenti di ambienti dinamici e in continua evoluzione sono quelli che determinano il successo dell’impresa.

Non serve trovarsi unicamente in situazioni di catastrofe o emergenza per improvvisare. La creazione di competenze improvvisative complementari agli strumenti di pianificazione strategica ordinaria può essere utile proprio per innovare e costruire vantaggio competitivo nel tempo.

 

di Ludovica Leone, Direttore Scientifico del Global MBA in Food and Wine 

 

L’articolo integrale è consultabile su Economia & Management a questo link.

 

 

 

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