Dialoghi. Donald Norman

Ottobre 13, 2017

Donald Norman, padre del design antropocentrico, direttore del Design Lab dell’University of California e former Vice President of Advanced Technology di Apple, è stato ospite di Bologna Business School durante l’evento Design Driven Transformation for the 21st Century.​ Il professore emerito dell’University of California San Diego e della Northwestern University ha condiviso con noi la sua visione sul design, sull’estetica e sul futuro.

 

Perché, secondo lei, i designer spesso falliscono nel compito di progettare soluzioni a misura di utente? Non sono loro stessi degli utenti nella vita di tutti i giorni?

“Non lo sono, nel modo più assoluto. I designer progettano una vasta gamma di cose e non possono anche utilizzare tutto. Ma l’altra ragione per cui spesso falliscono, e forse la più importante, è che la persona peggiore per valutare un progetto è proprio la persona che l’ha creato. Questo è vero nell’arte, nella letteratura, in qualsiasi settore. Ecco perché uno scrittore ha un editor. Quando scrivo, ho un eccellente editor che mi dice quando sbaglio o scrivo cose stupide, e lo stesso dovrebbe avvenire con i progettisti.”

 

Manca perciò una seconda fase, quella del controllo?

 

“Si, ma è soprattutto la prima fase a venire meno. Parte della filosofia che seguiamo nel design antropocentrico è: non iniziare subito a progettare la tua idea ma osserva prima le persone. Qualunque sia il tuo progetto, può essere una cucina o una strada, guarda le persone svolgere i loro compiti di tutti i giorni. Appena dopo, se vuoi, puoi fare domande. Ma in primo luogo bisogna capire cosa fanno veramente là fuori. Poi, quando cominci a progettare, non crede di avere tutte le risposte. Esci e testa il tuo prodotto.

 

La maggior parte dei progettisti ora testa i propri prodotti, ma in passato non si faceva. Il mio amico David Kelley ha progettato il telefono Enorme Phone in collaborazione con Ettore Sottsass. Una volta mi disse: “Adoro questo telefono; questo è il telefono peggior che avrei potuto progettare. Come ho potuto essere così stupido? Non voglio mai più progettare in questo modo, cercherò di capire prima “. La cosa buona di Kelley è che pur essendo un progettista eccellente, quando fa qualcosa di sbagliato, lo ammette.

 

Credo di essere un esperto del comportamento umano, so che cosa farà la gente? No, assolutamente. Ogni volta che esco per guardare le persone provare le mie idee, scopro che ero in errore. E questo è un modo di lavorare molto importante per i progettisti. Nel design antropocentrico, non ti può identificare con l’utente, sai troppo.”

 

Nei suoi libri spiega come l’utente sia guidato dalla memoria e dale esperienze interiorizzate. Com’è possibile, allora, proporre un design innovativo pur tenendo in considerazione le abitudini dell’utente finale?

 

“Se qualcosa è troppo nuovo, troppo diverso, non verrà accettato. Anche quando si tratta di una novità che la gente alla fine amerà, devi introdurla lentamente. Qui a Bologna alloggio in un meraviglioso B&B, dove ho notato un quadro di un primo treno per passeggeri. Le carrozze erano state progettate come carrozze per cavalli, proprio per far sentire più a loro agio le persone. In questo modo non diventava così strano sedere in questa enorme macchina trainata da grandi motori con il vapore che usciva fuori da un camino. Quando costruiamo qualcosa di completamente nuovo, spesso ricalchiamo l’aspetto di un oggetto vecchio, già noto, aiutando così le persone a fare il salto tra abitudine e innovazione.”

 

Oltre agli interruttori, gli elettrodomestici, le porte a spinta, quali sono secondo lei gli esempi più lampanti di design ‘nemico’ dell’utente? C’è un oggetto con il quale lei stesso ha un pessimo rapporto?

 

“È difficile indicare dei pessimi design, poiché quando i progettisti falliscono, i loro prodotti si eliminano rapidamente dalla memoria. Molti progetti che hanno anticipato i tempi non hanno avuto successo solo perché la gente non li ha capiti.

Quando sono entrato a far parte di Apple Computers stavano uscendo sul mercato con un nuovo prodotto. Guardandolo ho detto: “Oh, questo cambierà il mondo, è meraviglioso”. Ma è stato un fallimento. Hanno provato una seconda volta ed hanno fallito di nuovo, la terza idem. Alla fine hanno rinunciato e non ci hanno mai più provato. Si trattava di una macchina fotografica che non richiedeva un rullino. Oggi le fotocamere digitali sono così comuni, perché allora quella di Apple non ha avuto successo? Il prodotto era molto diverso da usare da una macchina fotografica tradizionale. Dopo aver scattato una foto dovevi trasferirla sul tuo computer, ma era difficile e ci voleva tantissimo tempo. Inoltre, non era ancora possibile stampare l’immagine perché non avevamo ancora le stampanti adatte. Il problema non era che la gente non capisse come fare una foto, ma non sapevano cosa fare dopo. Era soltanto troppo presto.

 

Oggi, mentre ero in treno, ho cercato di utilizzare la connessione Wi-Fi gratuita. Il sistema mi ha chiesto di scegliere una password. Dopo averla inserita, la password è risultata non valida perché non conteneva lettere maiuscole, numeri, segni speciali, ecc. Questo è sintomo di una pessima progettazione  ed è più diffusa di quanto immaginiamo. I requisiti per la password sono stupidi e ognuno richiede un diverso set di segni. Non sai mai quali siano i requisiti finché non sbagli. Perché i progettisti impostano il processo così male, non usano mai le password? Non sanno che bisogna spiegare le regole prima, e non dopo? Alla fine della procedura, come se non bastasse, mi è stato richiesto di inserire la carta di credito. Ho semplicemente lasciato perdere.”

 

Nel suo libro Emotional design. Perché amiamo (o odiamo) gli oggetti della vita quotidiana, affronta il tema del conflitto tra estetica e usabilità. Nel caso estremo in cui non fosse possibile combinare entrambi gli elementi, crede che l’essere umano trarrebbe maggior piacere da un oggetto bello ma difficile da usare o da uno semplice e utile ma poco attraente?

 

“Ci sono due principi fondamentali nel design: il signifier e il feedback. Prendiamo il cellulare moderno, lo smartphone. Un tempo era facile da usare, aveva un design scheumorfico. I bottoni avevano l’aspetto dei loro corrispettivi analogici tridimensionali. Quello era un signifier, spiegava cosa si poteva fare con un oggetto, nell’esempio del bottone era chiaro che lo si poteva premere. Una volta premuto il pulsante, questo rimaneva basso, dando così un feedback. Il nuovo regime di Apple dice che tutto ciò è vecchio stile e che bisogna usare un design piatto. Il risultato è che guardando lo schermo e non è più così intuitivo capire cosa fare e come farlo. Apple era famosa per i suoi prodotti utilizzabili senza bisogno di consultare il libretto delle istruzioni. Ora non è più così.

 

L’estetica è meravigliosa, ma non significa che bisogna per questo rendere il design incomprensibile. Questo è ciò che fa un buon designer, progetta una cosa bella con la giusta facilità di utilizzo.

 

La cosa buona degli esseri umani è che siamo in tanti e possiamo scegliere cose diverse. Quando vado in un negozio di mobili o in un negozio di elettrodomestici, non mi viene data una sola scelta. A volte compro qualcosa a causa della sua bellezza, o perché funziona bene, altre volte scelgo una via di mezzo. In casa mia ho uno spremiagrumi di Philippe Starck. È un pessimo spremiagrumi, ma lo adoro. Non lo tengo nella mia cucina ma in soggiorno, lo chiamo arte. C’è un compromesso tra estetica e utilità, ma siamo sempre liberi di scegliere.

 

Parlando di design del futuro, che è anche il tema del suo libro The Design of Future Things, quale forma prenderà l’interazione tra umani e machine nella realtà di tutti i giorni?

 

“Una delle cose che accadrà è che non noteremo neppure questa interazione. Quando entreremo in una stanza, le luci si accenderanno, forse con intensità diversa in base al momento della giornata. Non dovremo dire niente. Man mano che otterremo dispositivi sempre più intelligenti, loro prenderanno decisioni al nostro posto. A volte in modi che renderanno la nostra vita più facile, altre volte sarà frustrante avere macchine che cercano di leggere le nostre menti. Penso però che il futuro si allontanerà sempre di più dal controllo da parte di un mouse o di una tastiera. Utilizzeremo gesti, la nostra voce o forse le espressioni facciali. Ecco come sarà il futuro. La parte difficile sarà quella di progettare sistemi che lavorino con gruppi di persone, rispondendo alle esigenze collettive in momenti diversi.”

 

 

 

 

 



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